Jimi Hendrix - (1999)
Nel corso degli anni le pubblicazioni riguardanti Jimi Hendrix non hanno avuto sosta. Da live più o meno riusciti come la collana "Experience", pubblicata tra il 1971 ed il '72, con una coda all'inizio del nuovo millennio, oppure il resoconto del concerto a Monterey del 18 giugno 1967 ("Jimi Plays Monterey", 1986), a raccolte di materiale inedito ("Hendrix in the West", 1972; "Loose Ends", 1974; "Nine to the Universe", 1980) spesso imbastite senza alcuna spinta artistica e foriere di immense critiche da parte di fan e appassionati, la discografia riguardante il più grande chitarrista di sempre è andata vieppiù gonfiandosi.
Tra gli episodi più imbarazzanti come non ricordare la vergognosa operazione di "Midnight Lightning": pubblicato nel 1975, il disco è composto da sovraincisioni di session men vari sui nastri originali di Hendrix: se non siamo al sacrilegio, poco ci manca!
Dovendo però scegliere un disco per categoria (raccolte vs live) da salvare, io propenderei per "Blues" (1994) e "Live at Woodstock" (1999). Il primo disco è una compilation di recuperi d'archivio: ha una qualità altissima e mostra un inedito amore tra il chitarrista di Seattle ed il blues. Il secondo è il resoconto definitivo dell'esibizione di Jimi Hendrix a Woodstock, il 18 aprile 1969: in questo caso la qualità non è eccelsa, ma non è poi così difficile capire perchè la scelta sia ricaduta proprio su questo live.
Ci pensarono problemi tecnici di ogni tipo e un furibondo acquazzone a sconvolgere tutti i piani: Jimi Hendrix e la sua band (un'inedita formazione a sei) salirono sul palco quasi all'alba. E, tanto per confondere ancora di più i 200 mila presenti (meno della metà del pubblico dei due giorni precedenti), non appena lo speaker annunciò l'esibizione degli Jimi Hendrix Experience, il chitarrista prese il microfono e lo corresse: i sei sul palco erano i Gipsy Sun and Rainbows. Poco male, sempre di Hendrix si trattava.
Il concerto però fu una mezza ciofeca: il soundcheck non era stato fatto, i microfoni facevano le bizze e la band sembrava improvvisare, perdendosi in più di una circostanza. Ma c'è un momento che nessuno dei presenti (e non solo!) dimenticherà mai: "The Star-Spangled Banner", l'inno degli Stati Uniti, glorificato e calpestato, onorato e deriso da una chitarra divina!
Ecco il vero motivo per cui "Live at Woodstock" merita un posto nella discografia di qualsiasi musicofilo! Quei quattro minuti scarsi sono una delle più belle poesie mai scritte con una chitarra! Voto:7,5
P.S.: agli appassionati mi sento di consigliare un altro disco decisamente bello: si tratta di "Live at Berkeley 1970 - Second Show), pubblicato nel 2003.
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