Full Devil Jacket – (2015)
Mi manda letteralmente ai matti la definizione “alternative”. Devo averlo già scritto da qualche parte ma… “alternative” rispetto a cosa? A me sembra che sia la categoria in cui casca quel sound che proprio non si riesce a categorizzare. Non so dove buttarlo? Facciamo “alternative” che tanto non significa niente ma fa figo. D’altra parte così è scritto: chi sono io per decidere che non vada bene?
Ok, passiamo al disco che ce n’è da scrivere. I Full Devil Jacket, al momento di licenziare il loro secondo lavoro sulla lunga distanza arrivano da un momento non esattamente felice. Josh Brown ha dovuto rischiare l’overdose per decidere di mettere un po’ in ordine la sua vita, Michael Reeves non ha avuto neanche la possibilità di provarci e il resto della band, dopo un esordio abbastanza lusinghiero, non ha saputo trovare continuità e dare seguito ad un inizio di carriera piuttosto promettente. Da questo insieme di fattori ha preso piede “Valley of Bones” e la voglia del gruppo statunitense di provare a risalire la china e rilanciarsi artisticamente. Tentativo non esattamente riuscito come vedremo.
L’album inizia abbastanza ruffianotto, con un pezzo come “Killers” che cerca di mordere ma ha i canini un tantinello spuntati. Meglio, almeno sotto il profilo dell’aggressività, fanno la title track e “7x Down” ma non è che il livello sia troppo distante da un compitino anche magari bello curato ma di certo non travolgente quanto ci si potrebbe aspettare da una band che fa dell’approccio muscolare tanta della sua presenza scenica. Diciamo che fino a qua almeno i testi tengono botta e fanno da trait d’union per un percorso che già fa sorgere più di qualche dubbio sull’effettiva necessità di dare seguito all’unico album già all’attivo per la band di Jackson.
Il problema vero di “Valley of Bones” però arriva sulla distanza. A partire da “The Moment”, ma ancora di più da metà track list in poi, sembra che il disco si lasci andare. Un po’ alla volta tutto diventa sempre più moscio, anonimo, affossato da una quantità esagerata di ballate e da un approccio decisamente troppo arrendevole.
In fondo, volendo essere un po’ didascalici, quello che arriva è un songwriting grosso modo ad un livello niente più che scolastico, una creatività della quale non c’è modo di trovare neanche la c e alla fine della track list, dopo che “August”, litania non esattamente entusiasmante, è scivolata via senza lasciare traccia è persino difficile ricordarsi di un qualche momento del disco particolarmente indicativo del sound dei nostri.
Certo, c’è da capire il contesto, la necessità dei Full Devil Jacket di ritrovare affiatamento dopo le sfighe dell’ultimo lustro, però così… non so, a me sembra che sia più alto il rischio di buttare via quanto di buono fatto ai tempi dell’esordio discografico che la probabilità di rilanciare un monicker ormai dato per spacciato. Un po’ uno spreco, no?
Voto:5
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