2025-04-24

From Caplan to Belsize

 


Muncie Girls – (2016)


Debutto strano quello dei Muncie Girls di Lande Hekt. Concettualmente interessante, soprattutto per i riferimenti storici ai quali si ispira, musicalmente efficace ma anche un po’ maldestro sotto il profilo della scrittura e scomposto sotto l’aspetto estetico. Va detto che in realtà quest’ultimo non sia propriamente un difetto: trovandoci in territori perfettamente a metà via tra corporate punk e indie rock potrebbe anzi risultare quasi un valore aggiunto.

In ogni caso, cosa propone il trio inglese? Un sound diretto, frontale, apparentemente tutto muscoli e schitarrate; in realtà un disco che, se musicalmente prende molto del corporate punk dei primi anni del millennio, testualmente riesce rapidamente a colpire e incuriosire. I richiami a Sylvia Plath e alla sua storia, le argomentazioni socio-politiche, gli scorci di vita relazionale… tutto nei testi di Lande Hekt e in quel suo modo molto disimpegnato di affrontare i cantati porta l’ascoltatore a tendere l’orecchio, a provare a penetrare liriche magari ogni tanto relativamente superficiali ma comunque sempre intrise di significati.

Dal punto di vista musicale, invece, le cose sembrano funzionare molto bene quando si lascia libero sfogo al chiasso punk come nel caso dell’iniziale, adrenalinica ed estiva “Learn in School”.

Tutto diventa meno attraente quando i ritmi si rilassano leggermente e la quantità di decibel viene ridotta, come in “Nervous”. D’un tratto il sound dei Muncie Girls si scopre un pochino impacciato, quasi intimidito dalla necessità di dover tenere il passo del resto della track list. Sì, è questione di pochi attimi, il tempo di arrivare a “Gas Mark 4” e a quei sentori vagamente cranberriesiani sfumati dall’aspetto indie e annegati nell'esteriorità del brano.

Ecco, un altro punto interessante da toccare: la produzione sembra decisamente professionale ma il suono rimane sfocato come nella miglior tradizione indie, quasi che sia non solo stata una precisa scelta stilistica quanto addirittura un modo per ostentare le qualità della regia. Non so se sia una cosa positiva o negativa, di certo è una componente curiosa per un sound che forse un po’ meno stemperato sarebbe riuscito a propagare meglio la sua carica elettrica.

Tirando un po’ le somme, “From Caplan to Belsize” è un disco di debutto piuttosto coerente con il suo ruolo: mette sul tavolo idee interessanti, presenta discrete potenzialità da evolvere in futuro e lascia quel retrogusto di acerbo che in qualche maniera a sua volta ha un certo fascino.

Dai, diciamo buona la prima. Però soprattutto buona la curiosità di sapere dove porterà il percorso intrapreso dal trio di Exeter. Speriamo le risposte arrivino presto…

Voto:6,5

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