Seratones – (2016)
Prendiamo una cover come quella proposta dai Seratones per il loro debutto discografico: una mano con un occhio nel palmo, chiusa in geometrie lineari, addobbata da uno space shuttle tutto fumo e un cowboy acceso ma dal cuore ialino e una torre bianca a rappresentare chissà cosa. Siamo in ambito psichedelico, questo sembra piuttosto ovvio!
Poi prendiamo un brano del disco, facciamo “Tide”: il lento incedere iniziale, profumato di soul dispari, sognante e delicatamente melanconico che esplode in un inciso fatto di lingue di fuoco, bruciante passione, febbricitante e impulsivo calore estetico.
Ok, sono solo un paio di dettagli ma già possiamo farci un’idea di cosa sia “Get Gone”: un album stupendo!
Un disco che illude di essere qualcosa e poi si presenta in tutt’altra veste, in entrambi i casi con il fare seducente e ipnotico della padrona di casa, quella AJ Haynes che a tutti gli effetti è il valore aggiunto della band statunitense.
Nelle corde dei Seratones ci sono blues, rock, soul, (neo)psichedelia, progressività, tocchi southern e una evidente e travolgente smania di esprimere tutto questo nelle canzoni. Con misura, però. Nel senso che in questo sprint creativo non ci sono mai confusione o disordine. O almeno non più di quanto non sia d’uopo, ossia di quanto la stessa band nata in Louisiana non voglia esprimere, in maniera tanto volubile quanto efficace.Di più: il fatto di aver registrato i brani in presa diretta, in poche e mirate sessioni in studio, rende il sound incredibilmente verace e istintivo, qualità capace di rendere ancora più focoso un atteggiamento già di per sé piuttosto caldo. Si prendano ad esempio i primi scampoli della track list, l’iniziale “Chocking on Your Spit” e “Headtrip”: la prima, arrembante e dallo spregiudicato carattere settantino spiana la strada, la seconda, più strutturata e tosta raccoglie la sfida e mette pepe ad un costrutto che si presenta già dai suoi primi passi come un’esperienza capace di modificare qualsiasi emozione sia predominante in quel momento per portarla ad un livello superiore. Oppure l’accoppiata “Chandelier”-”Sun”, con la prima a spingere su una ruffianeria relativamente elegante, fatta di soul e blues miscelati, e la seconda a pigiare sul pedale del rock con memorie punk a fare da pungolo e vocals potenti ma anche sbarazzini nel loro puntare verso sud ma con qualcosa di deeppurpleiano nei desideri, a segnare il passo di un rock scatenato e solo vagamente psicotropo.
Poi, pian pianino l’album si spegne, scoprendosi man mano che le canzoni si susseguono sempre più stanco e privo di gagliardia. Non a caso la conclusiva “Keep Me”- assieme alla title track- risulta a conti fatti il principale punto debole del disco, quasi un ritirarsi in meditazione dopo aver buttato fuori tutte le energie che si erano accumulate man mano che il disco prendeva forma.Posso dirvi che anche questa sensazione di iniziare ad arrendersi alla spossatezza dopo aver dato tutto ha un suo fascino, ma questa è una considerazione del tutto personale. Quello che accende veramente il gusto per l’ascolto è comunque la vitalità e la brillantezza di un sound vivo e trascinante come quello proposto dai Seratones nel loro debutto sulla lunga distanza. E poi l’esuberanza di AJ Haynes, capace di essere contemporaneamente valchiria rock e una spiritata Skye Edwards trasferita oltreoceano, una Janelle Monae elettrizzata e, contemporaneamente, un’elegante elaborato di soul classico e viscerale ed alcolico blues sudista.
Ma in realtà forse la vera chiave di volta è che AJ Haynes è AJ Haynes, con la sua personalità trasbordante e un fascino con pochissimi pari. E un gruppo che ha saputo riconoscere tutto questo e si è proposto per elevarne le qualità come una squadra che gioca per il proprio fuoriclasse. Tutto decisamente meraviglioso!
Voto:7,5
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