2025-04-22

Strange Rites of Evil

 


Abysmal Grief – (2015)


Scrivere dei liguri Abysmal Grief è come toccare uno scrigno segreto dentro il quale potrebbe esserci tutto, una specie di vaso di Pandora del metal esoterico tricolore. Volete un indizio? Osservate bene la cover del disco e la capacità ipnotica che emana. Comunque…

Attivo dalla seconda metà degli anni ‘90, il quartetto guidato dalla malefica voce di Labes C Necrothytus, ha accumulato nel tempo una miriade di produzioni tra EP, split, demo, album e chi più ne ha più ne metta, in una continua ricerca di oscurità, in particolare quella più morbosa e vicina al trapasso. “Strange Rites of Evil” è il quarto lavoro sulla lunga distanza targato Abysmal Grief, un album fatto di tensione e frustrazione, tenebre e una costante e permeante mancanza di ossigeno.

Prima prova dell’abilità della band genovese nel mettere in pratica il proprio peculiare stile mortifero è l’opener, quella “Nomen Omen” che attraverso un sound cattedratico e opprimente e le declamazioni baritonali del front man riesce perfettamente nell’intento di portare un po’ di orrido nell’ambiente, lasciando poi ai cori che introducono la title track il compito di terrorizzare definitivamente l’ascoltatore. Il passo lento e compassato, a tratti marziale delle composizioni sonore non fa altro che aggiungere solennità al tutto, costringendo chi venga in contatto con l’arte degli Abysmal Grief a lunghi momenti di apnea contemplativa.

Ora, messa così, ci si potrebbe aspettare che il quarto lavoro sulla lunga distanza del combo ligure sia poco meno che la Mecca del doom metal versante horror, se così vogliamo dire. No, in realtà non è proprio così. Il limite maggiore di un album come “Strange Rites of Evil” è la monotonia delle sue strutture, quel ristagno che, se preso a piccole dosi sa effettivamente creare un effetto di prepotente e lugubre tensione emotiva ma sulla distanza rischia fortemente di scatenare qualche sbadiglio di troppo.

No, non un album noioso: non era quello che intendevo. Solo sembra piuttosto peculiare che alcuni dei brani- “Child of Darkness”, “Radix Malorum”- sembrino letteralmente interminabili pur non essendo le tracce più durature del full length. Questo particolare mi ha fatto riflettere su quanto possano essere efficaci e quanto invece a lungo andare indisponenti le onde lente e ripetitive di un sound così macilento e oscuro. Non che abbia una risposta certa, solo il mio personale feeling con le musiche, che in questo particolare caso si esplicita in sensazioni di forte trasporto mortifero in molte parti del disco e in stopposo attendere quel che verrà dopo in altre.

Andando ad affrontare il problema da un punto di vista estetico, anche la crudezza del sound risulta a tutti gli effetti una componente coerente con queste sensazioni ambivalenti. La differenza probabilmente la fa una scrittura solida e ben strutturata, capace di non permettere distrazioni lungo il brano dal minutaggio più importante dell’intero full length, la conclusiva “Dressed in Black Cloaks”, e riuscire tutto sommato a penetrare l’attenzione dell’ascoltatore con le sue ripetitive e costanti dinamiche ombrose.

Il resto lo fa la passione e il gusto dell’ascoltatore che, se pronto a mettersi a nudo davanti alla morte di certo non resterà deluso dalle circostanze a cui va incontro. Pur con qualche dubbio, pur con qualche riserva. Ma del resto chi può dire quali certezze ci possano essere quando ci si ritrovi al cospetto della morte?

Voto:6

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