2025-06-26

The Rhythm of the Saints

 


Paul Simon – (1990)


“Graceland” è stata una vera e propria sbornia!

Il risveglio, come spesso succede, presenta i suoi postumi e rimettere insieme le idee non è una cosa del tutto immediata. Tanto per chi quel disco l’ha creato quanto per chi ne ha colto l’accecante bellezza ascoltandolo.

E’ un po’ il destino dei capolavori, di quei dischi che tagliano la storia in un prima e un dopo. Con “The Rhythm of the Saints” inizia infatti la fase calante della carriera di Paul Simon. Sempre che di fase calante si possa parlare al cospetto di un album comunque bello, ricco di suggestioni, elegante come e- qua mi gioco la reputazione, mi sa- più rispetto al suo predecessore. Per lo meno in qualche episodio isolato della track list come ad esempio in “Can’t Run But”, grazie a percussioni dalla forte carica ipnotica e un’estetica talmente delicata da sfiorare l’onirico.

Ma allora come mai si può definire questo settimo album solista del cantautore americano il primo della fase calante? Per lo più per l’assenza dell’effetto wow.

Del resto, dopo “Graceland”, per riuscire a sconvolgere pubblico e critica ci voleva un vero e proprio prodigio. “The Rhythm of the Saints” ci va relativamente vicino ma manca il bersaglio per l’eccessiva comunanza d’intenti con il suo predecessore, scatenando un tanto ovvio quanto forse ingiusto paragone.

Canzoni belle ce ne sono: “The Obvious Child”, “The Coast”, “Firther to Fly”, giusto per citare qualche esempio all’interno di un campionario che ancora una volta non teme punti deboli e non soffre minimamente di stanchezza.

La componente che fa un po’ calare il livello artistico del full length è quella certa prevedibilità dovuta alla evidente coda lunga del capolavoro di qualche anno prima, quasi che la settima creatura discografica firmata Paul Simon non sia altro che una “Graceland 2” in cui alle stupende dinamiche africane si aggiungono influenze sudamericane. In particolare per quanto riguarda la componente ritmica, mai come nel caso delle canzoni proposte in “The Rhythm of the Saints” così provocante e bella.

I due decenni a cavallo del cambio di millennio vedranno Paul Simon alle prese con colonne sonore (“Songs From the Capeman”) e album più (“Surprise”) o meno (“You’re the One”) riusciti, per quanto nella discografia del cantautore statunitense sia piuttosto difficile riuscire a trovare un vero e proprio passo falso.

Perchè se la classe è classe e il talento è il talento, quello che veramente fa la differenza nel caso di Paul Simon è la capacità di trattare la materia musicale, di misurarne flusso e portata, di trasmettere odori e sapori senza rinunciare ad un tocco personale praticamente unico e facilmente riconoscibile. Di cantautori con queste qualità non ce ne sono stati molti nella storia della musica. Purtroppo anche di ascoltatori dotati della sensibilità per apprezzarne la bellezza ce ne sono sempre meno.

Voto:7,5

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