Angelo Branduardi - (1994)
Il definitivo salto nel pop- o, se vogliamo nella canzonetta- porta il cantautore ligure verso lidi facili, musiche scontate e testi sorprendentemente banali.
E' il caso della title track che apre il disco (uno dei pochi brani autografi), nella quale, a parte una forte dose di perbenismo ed accompagnamenti sbrodolanti ruffianeria, non si capisce quale sia il messaggio. E lo stesso vale per l'espatrio "Fou de Love", recitato in un esperanto che manca completamente di autorevolezza.
Un pochino meglio sono "Giovanna D'Arco" e "Le dodici Lune". In particolare la seconda è l'unica traccia del disco che in qualche modo riesca a ricordare le magnifiche atmosfere medievali dei lavori passati.
Risulta abbastanza evidente che quello che manca in questo album sono le canzoni. Un'ulteriore prova arriva da "La ragazza e l'eremita", di chiara derivazione deandrèiana.
L'impressione più forte che arriva dall'ascolto dei brani di questo album è di un Branduardi a corto di idee, preda della produzione, completamente in balia di intuizioni che non gli appartengono: infatti la maggior parte delle canzoni è scritta da altri autori (Finardi, Vecchioni e Panella, tra gli altri). O, in poche parole, di un poeta stanco, che ha dato e adesso si ritira nella produzione di mestiere, semplice manovalanza musicale. Voto:5
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