2012-05-20

Axioma Ethica Odini

recensione di axioma ethica odini degli enslaved

Enslaved - (2010)



Ormai privi di limiti, in piena combutta con un'ispirazione che non conosce soste, gli Enslaved producono un'altra opera degna di interesse, curiosa e intrigante, anche se non all'altezza del capolavoro che l'ha preceduta.
L'apertura è tutta appannaggio di un metal glaciale, una ventata di cristalli del profondo nord che si insinuano subdoli e sinuosi nella mente dell'ascoltatore condensando in maniera profonda e vincolata l'attenzione sui riff, sulle fantasiose partiture ritmiche di Cato Bekkevold e sul growl profondo e maestoso di Grutle Kjellson.
Ahimè, l'illusione di un ulteriore passo in avanti nella progressione qualitativa della band scandinava dura poco: "Raidho" inizia a sapere un po' di stanchezza e "The Beacon", momento ruvido e feroce del disco, non ha più quel mordente che faceva della band norvegese un'icona in ambito black metal. Bisogna quindi concentrarsi sulle profonde oscurità di "Waruun", sui due minuti e mezzo di distese sintetiche di "Axioma" e sulla seguente impronta sabbathiana di "Giants" per ritrovare quel sublime rapimento che aveva caratterizzato il precedente lavoro in studio degli Enslaved.
Il problema nasce in tutti i momenti del disco in cui i ritmi trovano una certa regolarità ed i brani si scoprono facilotti e poco curiosi, quasi delle passeggiate sull'erba fresca di rugiada rispetto alle piene emotive a cui ci si era abituati con "Vertebrae". E anche la chiusura, con due tracce ad un passo dal fusion-metal di stampo Cynic come "Night Sight" e "Lightening" non riesce a convincere del tutto, mancando in pieno la componente passionale di una musica che via via si fa più distante e isolata, chiusa in un leggero strato di supponenza creativa e di strisciante scolasticità artistica, abbastanza ingombrante da interrompere completamente il flusso di emozioni che dalle interpretazioni della band scandinava arrivavano dirette nella mente dell'ascoltatore.
Ritmiche troppo regolari e pesanti come macigni, e riff diretti, granitici, sembrano non giovare alla proposta musicale degli Enslaved, laddove proprio il continuo cambio di prospettive era stato il vero colpo di genio dei lavori del passato.
Bisogna concedere il merito delle armi a Ivar Bjornson e compagni, accettando senza troppe recriminazioni un calo d'ispirazione che dopo un decennio di lavori costantemente sopra le attese può essere considerato quasi fisiologico. E, oltre tutto, essendo al cospetto di un disco deludente ma di certo non brutto, vittima più del confronto con la superlativa performance di "Vertebrae" piuttosto che di carenze proprie! Voto:6,5

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