Lou Reed - (1982)
Partiamo il più razionali possibile... la nuova band di Lou Reed: alla batteria c'è il futuro Jethro Tull Doane Perry, al basso Fernando Saunders e alla sei corde complementare un tale Robert Quine. Alt!
Prima digressione: Quine non è una persona qualsiasi! Il chitarrista di Akron si è già fatto conoscere in ambito punk- o meglio, post punk- con i Voidoids di Richard Hell, ma la sua fortuna è data dalle registrazioni di molti concerti dei primi Velvet Underground, raccolti poi sotto il titolo di The Quine Tapes. Quindi tra la new entry nella band di Lou Reed ed il cantante newyorkese c'è già un feeling deciso, profondo, e una stima che non conosce troppe riserve.
Altro cambiamento degno di nota: l'ex Velvet Underground (intendo proprio Lou Reed!) si è ripulito! Non beve, non si droga e soprattutto ha deciso di convolare a nozze con l'amata Sylvia, anche per stabilizzare una vita decisamente oltre i limiti. Da tutti i punti di vista!
Ora, perchè ho calcato la mano su un inizio razionale per raccontare "The Blue Mask"?
Perchè di per sé il disco di razionale ha (apparentemente!) poco o nulla!
Perchè una volta iniziata la vena persecutoria e strampalata di "My House", diventa veramente difficile rimanere lucidi!
Da questo punto di vista, un primo momento senza possibilità di ritorno è rappresentato senza dubbio dalla dimessa ma arguta "Women". Sono però gli episodi dichiaratamente paranoici come "Gun" a colpire l'ascolto diritto nel petto, stordendolo e rendendolo inerme vittima di una serie inesauribile di stroncature concettuali.
E dire che l'inizio del full-length sembra quasi indolente: "My House" si presenta come uno svogliato e storto modo di inquadrare il ritorno a casa di uno zingaro del rock. Poi però arrivano i pezzi da novanta del disco- "Average Guy", "The Day John Kennedy Died"- e tutto ritorna squisitamente perverso e subdolo, quasi un racconto distratto di una vita di eccessi e momenti incastonati nella torbida memoria del cantautore americano.
A tratti Lou Reed sembra strafatto, in alcuni episodi appare come un giullare in preda ad una crisi di rigetto da isteria suburbana, però alla fine la maschera blu casca e quello che si presenta all'ascoltatore è un cantautore sincero, ovviamente non del tutto sano di mente, ma di certo istintivo e crudo come ai bei tempi di "Transformer".
La dedica a Delmore Schwartz, professore di letteratura del Nostro all'università e grande scrittore, è solo la ciliegina posta su una torta pesante e ricca di gusti, perfetta prosecuzione di una carriera che riparte di slancio ogni qualvolta qualche cedimento rischi di minarne la solidità. Voto:7,5
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