2024-12-06

Forget the World

 


Afrojack – (2014)


Poco tempo fa ho scritto di Avicii. Ecco, ripartiamo da quel post per capire il suo opposto geometrico: Afrojack, Nick Van de Wall all’anagrafe.

Vi chiederete in che senso opposto geometrico? Di Avicii avevamo sottolineato la volontà- oserei dire la necessità- di mettere nella sua musica idee, proposte, anche provocazioni se d’uopo. Afrojack invece fa esattamente il contrario: nelle sue canzoni troviamo l’ombra lunga delle mode chiassose del momento, sentiamo nettamente il bisogno di approvazione, la musica fatta in funzione del successo.

Con qualche eccezione, ovviamente: “Three Strikes” e “Mexico” hanno ben più di qualcosa di interessante. Però, per capire di cosa parlo date un’occhiata ai pezzi messi in vetrina, ascoltate brani come l’opener “Ten Feet Tall” ma soprattutto “Illuminate”, una specie di versione danzereccia di un sound molto vicino a One Direction e compagnia costruita a tavolino per vendere.

Nulla di male in tutto questo, ci mancherebbe. Solo che le musiche ci mettono poco più di un attimo a palesarsi in maniera talmente familiare da diventare noiose nel giro di pochi ascolti, anche uno solo in molte circostanze. Un po’ un prodotto usa e getta cosciente di esistere proprio con questa funzione, volendola mettere in slogan.

Non stupisce quindi ritrovarsi nelle orecchie timidi accenni a ritmiche reggaeton, ondate elettroniche su stasi down beat, genetiche rap su fenotipi edm e collaborazioni altisonanti: tutti tentativi di coinvolgere più fasce di pubblico possibili.

Il fatto che il dj olandese sia capace nonostante tutto di mantenere un carattere coerente lungo tutta la track list è un merito che non si può sottacere, però sembra a conti fatti anche l’unico vero traguardo del full length. O almeno il solo punto in cui Afrojack riesca a scrollarsi di dosso una ingombrante patina di sufficienza.

A questo posso aggiungere un rilievo del tutto personale: molti dei brani di “Forget the World” mi ricordano quei video che girano spesso su Youtube in cui tutti si divertono in ambienti paradisiaci, dandoci l’impressione che ci siano persone al mondo che vivono così la propria quotidianità e facendo scattare in noi una irresistibile voglia di evadere ed emularle. Ecco, magari persone così ci sono davvero ma capiterà anche loro una giornata storta, un incidente di percorso, un cagotto improvviso, no? Voglio dire: stiamo parlando di realtà fittizie ma proposte e assorbite in maniera incredibilmente realistica.

No, non sto parlando di un essere virale capace di modificare le nostre vite, solo di un modo di proporre l’esistenza che mette in risalto solo la facciata, nascondendo dietro a questa tutto quello che può essere fastidioso realizzare quando si ambisce all’opulenza, alla bellezza ed allo svago perenni. Detto altrimenti: dobbiamo sempre tenere a mente che si tratta di finzione, tutto qua. Anche quando ascoltiamo un lavoro apparentemente fascinoso e lussureggiante ma un po’ povero di vita vissuta, di anima quotidiana, come “Forget the World”.

Voto:5,5

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