Precognitive Holocaust Annotations – (2016)
Ecco il classico album che mi mette in grossissime difficoltà.
Provo a rendere in maniera più o meno lucida tutto quello che mi passa per la mente. Non sarà facile ma ci provo.
Partiamo dal fatto che i Precognitive Holocaust Annotations sono una super band. Certo, non nomi di primo piano della siderurgia mondiale ma comunque tutti membri di band con un solido background e una reputazione di tutto rispetto come Vomit the Soul e Indecent Excision. Io tendenzialmente mi fido poco di questi side project, però non ha senso partire prevenuti, giusto?
Ok, qualche altro dato grezzo. In tutto l’album dura 20 minuti spaccati. Verrebbe da pensare che si tratti di un EP. E invece è un album vero e proprio. E la sua durata è inversamente proporzionale alla quantità di stimoli contenuta nei brani. Questo è decisamente un punto a favore del quartetto italiano. Avere misura nella vita aiuta sempre. Ah, sì, si tratta di un progetto (quasi) tutto tricolore, che spazia tra le varie realtà brutal death metal del nord del paese.
Ok, fino a qua diciamo che si tratta di informazioni utili forse a farsi un’idea sul disco, o magari solo a crearsi aspettative. Ma poi, in concreto, “Procreation of the Artificial Divinity” è un lavoro che merita attenzione oppure no?
Al netto del fatto che ogni singolo album merita la giusta dose di attenzione, nel caso di questo primo- e ultimo per quanto ne so- album firmato Precognitive Holocaust Annotations, direi che assolutamente il gioco vale la candela. Intanto per la narrazione, magari non originalissima ma decisamente affascinante. E poi per le capacità, tecniche ma non solo, della band tricolore di trasporre questa narrazione in musica.A dire il vero, non appena parte “Neural Dematerialization” le prima reazione è un immediato all’erta causato da sonorità ambigue e destabilizzanti e un senso di spaesamento dato da un rullante di batteria che suona più o meno come un martello pneumatico. E’ un attimo, il tempo di sintonizzarsi sulle frequenze devastanti del quartetto italiano. Poi, passato lo shock iniziale, il full length prende una nuova forma, quasi una dimensione alternativa in cui l’urto sonoro trova i suoi giusti paradigmi per essere al contempo efficace e affascinante.
Il percorso che porta fino alla conclusiva “Intermittent Collapse” è tutto tranne che agevole, capace di mettere in più di qualche circostanza l’ascoltatore sulla difensiva e forse in qualche momento anche un po’ freddino nel suo voler ammassare contorti incastri tecnici in così poco spazio. D’altra parte è innegabile che “Procreation of the Artificial Divinity” lasci un profondo segno nella mente, non necessariamente piacevole ma di certo intrusivo e tenace. Ed ecco dove sta la difficoltà nel commentare un album così, riuscire a ricondurre un impatto eccessivamente denso e ricco di stimoli, tutto concentrato in un distillato feroce e immediato, mantenendo la necessaria lucidità per accogliere i temi esplicitati della band guidata da Max Santarelli.
Traduzione: “Procreation of the Artificial Divinity” è un gran bel disco, ottimo prototipo delle potenzialità di un (sotto)genere spesso privo di vere e proprie idee e distante dalla componente emotiva come il brutal death metal. E’ anche una botta dalla quale non è del tutto semplice riprendersi, per lo meno in tempi brevi. Ragion per cui al momento, intanto che “Cellular Preconnection” mi sta sbranando il sistema nervoso e mi accingo a completare per l’ennesima volta il circuito devastante della track list, non riesco ad andare oltre una valutazione discreta, forse tiepida.Sento, però, che “Procreation of the Artificial Divinity” cela ancora dei segreti ai quali non ho accesso per cui lascio una finestra aperta per rivalutare il tutto quando la sensazione di aver penetrato appieno le potenzialità del full length sarà reale e tangibile.
Voto:6,5
Nessun commento:
Posta un commento