In Flames – (2016)
I tempi delle rivoluzioni sono finiti.
Del resto gli In Flames ormai hanno un curriculum talmente ampio da non temere discussioni sulla loro storia artistica, quasi un status da noblesse oblige ormai difficilmente scalfibile.
D’altra parte, pur avendo all’attivo qualcosa come una dozzina di album- tutti o quasi commentati su questo blog… scusate se è poco!- il gruppo svedese ci tiene a mettere in evidenza piccole evoluzioni- o involuzioni, dipende dai gusti...- nel sound, leggeri cambi di direzione- la produzione ad esempio- rispetto al recente passato che possano fungere da pungolo per un’eventuale futuro della band. Ho scritto eventuale non perché ci siano sentori di split, solo perché da un gruppo attivo da una trentina d’anni ci si può aspettare praticamente di tutto.
“Battles” quindi… la linea generale sembra un po’ tracciata con gli ultimi “Siren Charms” e “Sounds of a Playground Fading” solo con una decisa prevalenza del gusto melodico- e un po’ ruffianotto- di Anders Friden sul resto della combriccola, in particolare sulle creazioni dell’altra capoccia creativa del gruppo, Bjorn Gelotte.
D’altra parte è davvero difficile dire che brani come “The Truth” oppure “In My Room” non siano piacevoli, ben costruiti e tutto sommato dotati del phisique du role per durare il tempo di farsi apprezzare. Difficile dire lo stesso di altri momenti del disco, come ad esempio “Through My Eyes”, “Underneath My Skin” o “Wallflower”, ossia i brani in cui la band scandinava sembra metterci più voglia di rimanere in contatto con gli In Flames più spudorati e nervosi già apprezzati in passato.
Forse è proprio il paragone a trarre in inganno o forse effettivamente in questo momento storico è più facile farsi andare bene canzoni ariose e relativamente poco impegnative come la title track. Il punto è, però, che in tutto e per tutto “Battles” sembra quel punto d’arrivo piacione che un po’ era prevedibile ma un po’ anche stona con la necessità di slancio che Anders Friden e compagni cercavano dopo i non entusiasmanti album dell’ultimo lustro.
Con un po’ di amaro in bocca si potrebbe dire che a occhio e croce più di così i cinque di Goteborg non sembrano avere la possibilità di fare. Una specie di resa con l’onore delle armi, potremmo dire; ossia l’epilogo di un tragitto che ha toccato le sue vette e adesso preferisce navigare nelle acque più tranquille del risultato sicuro. Scelta comprensibile, magari non del tutto condivisibile da chi come me cerca nel potenziale delle band sempre quel qualcosa in più, però comprensibile.
Voto:6
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