2010-05-15

First Base (recensione)

Babe Ruth - (1973)


"First Base" è un disco attorcigliato attorno ad un sound che naviga tra la sperimentazione progressive, forti accenni psichedelici e un rock in cui si sente un’atmosfera melanconica quasi decadente (“The Runaways”). La punta di diamante dell’album va rintracciata nelle elaborazioni di tastiere e chitarra di “King Kong”, nelle quali solo la batteria, troppo regolare sui 4/4, stona con la spericolatezza delle incursioni di chitarra blues in dialogo con un pianoforte jazz: praticamente siamo al cospetto di una visione allucinogena!
Tra l'altro neanche l'unica di questo full-lenght! Le liriche di “Black Dog”, ad esempio, introducono un testo in piena post-psichedelia su romanticherie mese in bella mostra in maniera particolare dalle tastiere, condite da spunti barocchi e jazz. I cantati prendono molto dallo stile Morrison-Joplin, senza però avere a disposizione voci penetranti o particolarmente incisive. In “Wells Fargo” la voce di Janita Haan sfiora il fastidio in alcuni acuti e sembra vada fuori tempo in più parti, mentre in “Black Dog” riesce a tener testa ai virtuosismi strumentali, ma più con l‘aggressività che con l'eleganza o la maestria. Del resto sul palco la Haan è sempre stata una delle cantanti più scatenate.
I pezzi più vivaci (“Wells Fargo” e “The Mexican”) giocano molto sul contrasto tra melodie rock (nella seconda, vagamente latineggianti) e strutture ritmiche tra il funk e il pop. Le influenze sono varie: dai Doors a Morricone (chiaramente citato in “The Mexican”). La follia di bonghi e organo, distorsioni e cantati punk di “Joker” chiude l'album.
"First Base" è un lavoro che dà spunti interessanti pur mancando di una decisa omogeneità. Nell’ambito del rock di metà settanta, un discreto lavoro di sperimentazione. Voto:6,5

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