2012-05-01

Eric Is Here

recensione di eric is here di eric burdon and the animals

Eric Burdon & the Animals - (1967)



In principio c'erano i Kansas City Five, poi rinominati Animals. Quelli di "The Story of Bob Diddley", "Don't Bring Me Down" e "I Put a Spell on You", tanto per capirsi.
Dal 1964 al '66 la band inglese incide tre album- più qualche altro pseudo-album per il mercato discografico americano- e un manciata di singoli di successo. Poi il vocalist della band, Eric Burdon, decide di fare da solo: esautora tutti gli altri componenti del gruppo, si trasferisce in California ed inizia a lavorare al suo primo disco solista.
Il risultato non è di peggiori, ma non si tratta neppure di qualcosa di sconvolgente. Il cantante britannico mescola pop e rhythm n'blues, inserendo all'occorrenza fiati e un alcolico rock n'blues e, innondando il tutto con testi allucinati e fuori di capoccia, fa il suo ingresso sul mercato con un lavoro ancora acerbo e non ben rifinito, nel quale si intravedono delle ottime potenzialità ma non si riesce a gustare un prodotto finito.
Ci sono pezzi autografi, due chicche rubate a Randy Newman, un brano della coppia King-Goffin e una cover del cantante soul Jimmy Radcliffe a dimostrare una volontà sincera di mettersi in gioco anche per quanto riguarda il songwriting, tanto quanto una cultura musicale notevole. Se però le prime due canzoni ("In the Night" e "Mama Told Me Not to Come") sono effettivamente prati fioriti di mobile pop, composto da musiche sciorinate con eleganza ed un velo lisergico presente ma non invadente, da "I Think It's Gonna Rain Today" l'efficacia del sound di Burdon inizia un po' ad annacquarsi, perdendo smalto e diluendosi in troppe deviazioni beat ("On This Side of Goodbye"), funk ("The Biggest Bundle of Them All") ed improbabili interpretazioni da avvinazzato ("Wait Till Next Year").
In compenso le evoluzioni acide di "Losin' Control" e la sottile vena malinconica della conclusiva cover radcliffiana "It's Been a Long Time Comin'" rimettono in pari la situazione, apportando qualità e leggerezza ad un album che iniziava ad essere un po' pesante.
Il primo prototipo burdoniano di psichedelia applicata al pop e mescolata con le influenze americane al primo ascolto appare scolastica, a tratti banale, ma è un passaggio necessario per l'evoluzione che porterà pochi mesi dopo alla pubblicazione di "Winds of Change". Voto.6

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