Everyone of Us

Eric Burdon & the Animals - (1968)

A ben vedere, ascoltando l'inizio del quarto lavoro solista di Eric Burdon (in 2 anni!) di psichedelia se ne trova ben poca: appaiono ritmi latini, uno swing molto leggero riconducibile ai dischi precedenti solo per il nome che viene stampato in copertina.
Probabilmente si tratta di retaggi dei viaggi- veri o presunti- del cantante stesso, oppure della freschezza portata dalle due new entry della line-up dei New Animals, Zoot Money al pianoforte ed il futuro Police Andy Summers alla chitarra. In ogni caso la sorpresa è totale, in particolare con la stralunata "Uppers and Downers" che apre le porte al sound jazz, notturno e pacato di "Serenade to a Sweet Lady".
L'intima solitudine di "The Immigrant Lad" chiude un poker di tracce che più o meno equivalgono alle stagioni dell'anno: primaverile la prima, estrosa e pazzoide come l'estate la seconda, autunnale e calda la terza e isolata e glaciale la quarta. In ogni caso la prima metà di album lascia parecchio perplessi, se non altro per un'efficacia ed un trasporto distanti anni luce dalle accattivanti atmosfere acide dei lavori precedenti.

La conversazione posta in chiusura di "The Immigrant Lad" (come pure quella inserita nell'ultima traccia) influisce non poco su questo sconcertato stato d'animo, che porta diritto alla parte più intrigante ed effettivamente psichedelica del disco, quella che da "Year of the Guru" porta fino alla concluisva interminabile dissertazione acida di "New York 1963 - America 1968", quasi venti minuti di allucinazione sonora tra il folk, il rock, le ondulate visioni lisergiche ed il morbido sapore drammatico che emana dai testi, i discorsi stravaganti e le esacerbazioni avanguardistiche dal gusto zappiano.
Tra queste due intelaiature sonore fa capolino l'alcolico traditional "St.James Infirmary", il pezzo migliore dell'intero disco, unico esempio di rock acido cosparso di blues che riesca a definire in maniera corposa l'ascolto e far assorbire al sistema acustico l'onda lunga di una (ir)realtà che ormai sta tirando i remi in barca. Oltre che mettere in mostra una vocalità da parte del cantautore inglese sinceramente insospettabile.
Eric Burdon sembra un po' a corto di idee, ma contemporaneamente sembra averne anche troppe, a tal punto da provarle un po' tutte per vedere come reagisce il mercato. Che sia un disco di ricerca piuttosto che un primo, flebile calo d'ispirazione, "Everyone of Us" non riesce ad avvicinare le maestose costruzioni sonore che lo hanno preceduto, impantanandosi tanto nei dubbi endogeni quanto nell'effettiva resa artistica. Diciamo un disco di passaggio. O almeno si spera... Voto:5,5

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• The Twain Shall Meet
• Winds of Change
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