2012-05-09

Ruun

recensione di ruun degli enslaved

Enslaved - (2006)



Non c'è verso! Di stare fermi in un posto per più di un album, i norvegesi Enslaved non ne vogliono proprio sapere!
Dopo "Isa" sarebbe stato facile (e forse opportuno) soffermarsi su quel approccio melodico, su quelle intelaiature sonore. Invece Grutle Kjellson e compagni virano nuovamente verso nuovi confini, verso sonorità alternative.
A dire il vero ascoltando l'iniziale "Entroper" sembra di essere tornati ai tempi di "Below the Lights", solo con un piglio più heavy e una tremenda cotta per gli ambienti gotici e romantici.
E' da "Path to Vanir" che in realtà si piomba in una dimensione del tutto inesplorata per il combo scandinavo: un heavy metal scandito, alle soglie del doom, che si incrocia con i Pink Floyd! Un colpo di genio o una sbruffonata al limite della lesa maestà?
Io propendo per la prima- nonostante l'organo Hammond che fa capolino verso metà pezzo abbia qualcosa di tremendamente kitsch e sembri un pesce fuor d'acqua!- ma penso sia semplicemente una questione di gusti.
Con "Fusion of Sense and Earth" si recuperano le radici black del gruppo, ma senza calcare troppo la mano- difatti il pezzo sembra un po' fiacco!- quasi si trattasse di un tributo dovuto, ma poco sentito, agli albori del sound degli Enslaved. Confusionaria e poco lucida, la traccia numero tre è in definitiva l'unica che non riesce ad incuriosire di tutto l'album.
Perchè poi, con le gotiche e solenni distese di metallo di "Tides of Chaos" (con tanto di inizio profumato di Sabs e molto Bathory nelle asce) e "Heir to the Cosmic Seed", intrise di una robusta melanconia di stampo romantico e profondamente evocative, la vichinga "Api-Vat", che forse tradisce un po' di stanchezza dal punto di vista compositivo, e l'opethiana "Essence", il livello delle musiche non accenna a stare sotto un'ampia sufficienza, con punte di assoluto fascino nelle tenebrose vallate oscure del brano che chiude il disco.
Una citazione particolare la merita "Ruun", il brano nettamente più prog del full length: variazioni psicotrope e intensi caleidoscopi tinti di nero si scambiano il ruolo di protagonista per quasi sette minuti di ascolto non facile ma dal fascino ambiguo ed irresistibile. Lasciarsi rapire dalle sinuose vocalità che si distendono lungo il brano e dalle chitarre dilatate ed espanse è un gustoso e morbido trip traboccante in una discesa al purgatorio e una pronta risalita, in un contesto agghiacciante e sepolcrale. Davvero un gran bel pezzo!
Diciamo che preso nel suo insieme "Ruun" non vale "Isa", ma i vertici emotivi, trascinanti e vorticosi della title track meritano un mezzo voto in più, facendo mancare così al disco il primato nella discografia degli Enslaved per un non nulla.
Voto:6,5

Su Graffiti Musicali, degli Enslaved potete trovare anche:
e molto altro ancora, digitando Enslaved nella casella di ricerca del blog.

Nessun commento:

Posta un commento