Eric Burdon & the Animals - (1968)
In tutto e per tutto gemello di "Winds of Change", il terzo lavoro della carriera solista di Eric Burdon inizia laddove il disco precedente si era fermato. Anzi, a dire il vero, si riparte in maniera del tutto analoga al bellissimo album dell'anno prima, con un tributo al festival di Monterey, cosparso di fiati ed impreziosito dal sitar, intenso e acido: una specie di fotografia in note dell'evento e delle sue fasi più intense, degli interpreti che si sono avvicendati sul palco e delle passioni che man mano sono sgorgate durante le varie performances.
Poi, da "Just the Thought" si parte per un trip che non molla la presa fino alla chiusura di "All Is One", con momenti di puro incanto lisergico nell'infinito viaggio di "We Love You Lil" e nelle ondulazioni colorate e floreali di "No Self Pity".
"The Twain Shall Meet" rappresenta uno dei vertici della psichedelia californiana, un sipario sulle nuove esperienze sensoriali che le droghe sintetiche sono in grado di creare, uno spioncino sulle capacità immaginifiche del cervello umano sotto l'effetto di destrutturanti sostanze esogene.
Eric Burdon non si lascia scappare l'occasione di bissare il successo di "Winds of Change", pur non trovando una qualità analoga, anche a causa di una certa assuefazione alle musiche lisergiche e visionarie del cantante britannico. Nonostante un senso di ripetitività che fa capolino qua e là, le idee del vocalist degli Animals (anzi New Animals, visto che della band originale non c'è più nessuno!) si esplicitano in maniera distorta e ingannevole come solo pochi altri autori saranno capaci di fare, introducendo elementi innovativi e spettacolari momenti di crisi patetica che non possono che conquistare.
Seducente e labirintico, il sound proposto da Eric Burdon riesce ancora una volta a convincere e rapire, distorcendo ogni valore musicale e aprendo una porta che solo con fatica l'establishment discografico riuscirà a (soc)chiudere. Voto:7
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