2012-11-02

Dialogo tra un impegnato e un non so

recensione di dialogo tra un impegnato e un non so di giorgio gaber

Giorgio Gaber - (1972)



Il capolavoro!
Il testamento di Giorgio Gaber è raccolto in questo dialogo, in questa farsesca e terribile constatazione della realtà.
Non c'è più denuncia! O almeno non nel senso generico del termine. Volete una prova? Chi può dire con certezza quale dei due Gaber sia l'impegnato e quale invece il non so?
Questo dialogo è un'amara e disillusa resa all'umana essenza, è l'epitaffio della (falsa, come si è detto) rivoluzione del '68, scritto senza speranza, senza più alcun senso di positività. Ma anche di negatività; diciamo senza più alcun senso o, in altre parole, cinicamente.
Gaber sviscera l'uomo e lo rende al pubblico nella sua nudità, fisica e culturale, nel suo inutile vivere alla ricerca del Paradiso. Questo disco non è solo "La libertà" e "Lo shampoo", due tra i più conosciuti brani del cantautore milanese, ma anche, se non soprattutto, "Le cipolle", "L'ingranaggio", "Gli intellettuali" e la stupenda "Il pelo". L'essere umano, non solo quello nato e cresciuto sul suolo italico, viene guardato, osservato, violentato nella sua più intima inadattabilità alla realtà che lo circonda, viene mostrato nella sua debolezza, nel suo essere animale ma intelligente,e quindi molto più pericoloso dei suoi simili.
Tutto viene dipinto con toni cupi, defraudati dall'unico motivo di esistere valido per un uomo: la libertà. Ma anche burleschi, ironici, abbastanza ficcanti da riuscire a mettere alla berlina anche lo stesso pubblico che guarda, ascolta e applaude.
Gaber critica l'oggetto ed il possesso ("La sedia", "La bombola", "Noci di cocco"), l'organizzazione di questo avere ("La benda", "Al bar Casablanca"), il fare ed il lasciar fare ("Gli operai", "La libertà"), il pensare ed il lasciar pensare ("Oh Madonnina dei dolori", "La presa del potere"), ma soprattutto l'esistere, il solo fatto di essere così come siamo. Sì, noi. Proprio noi!
Il cantautore lombardo vede chiaramente tutto quello che la gente (cioè noi!) non vuol vedere; capisce il non senso di rincorrersi per avere, l'astrusità di un mondo fatto e costruito attorno al sembrare, al portare sul petto un titolo e non saperlo usare, a dichiararsi uguali e voler essere più uguali degli altri. Giorgio Gaber vive questa realtà e la descrive, così come lo farebbe un poeta plebeo, senza voli pindarici, senza astrazioni o ermetismi, dichiarando al suo pubblico che lui è uno tra i tanti, nè meglio nè peggio, come lo sono io e chi mi passa a fianco ogni giorno. Come lo è chi legge queste righe.
Siamo così: diciamo tutti insieme- ma ognuno per se!- "...parapà, piripì, poropò..." e viviamo contenti di saperlo fare, non rendendoci conto che "La collana" può avere un utilizzo molto più sano e adeguato alle circostanze, più feroce, più cattivo, più sofferente e definitivo: esattamente come la poetica espressa in questo disco da Giorgio Gaber. Voto:10

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