Genesis - (1983)
Quasi fosse un obbligo contrattuale, la band britannica cerca di esorcizzare il primo vero momento di difficoltà artistica- anche se le vendite non sono mai state così soddisfacenti!- con un album autointitolato.
Per farvi capire come e cosa esprime "Genesis", vorrei invitarvi ad immaginare due scene. La prima è una realtà artificiale, robotica, nella quale gli spazi rimasti sono angusti e bui, formati da fibre ottiche e campi magnetici invece che da strade e case. La seconda è una banale discoteca, un'esibizione mondana e noiosa del proprio avere, stranamente coincidente con il proprio essere.
Ecco, mettete insieme queste due istantanee e troverete il dodicesimo lavoro in studio di Phil Collins e compagni. La prima immagine equivale all'ascolto di "Mama", "Second Home by the Sea" e "Just a Job to Do", mentre la seconda riguarda il resto delle tracce, fatta eccezione per la ridicola "Illegal Alien" e per l'osceno schioccar di dita di "That's All", pezzo che andrebbe posto immediatamente al bando!
E' strano a dirsi, ma in qualche modo anche questa adimensionalità, anche questo approccio ambiguo e sformato ha qualcosa di affascinante. L'elettronica ingorda che predomina molte tracce mescolata con la ridondanza mainstream di brani come "Home by the Sea" riesce in qualche modo ad aprirsi un varco nella mente dell'ascoltatore e, seppur a sprazzi, a vincere lo scettico stato d'animo con il quale ci si approccia al disco dopo un lavoro deludente come "Abacab".
Certo, l'impressione netta è che nelle nove tracce di questo album ci sia molto fumo e poco arrosto, ma anche questa impressione è destinata a svanire dopo un po' di ascolti. Con questo non voglio dire che "Genesis" sia un bel album; piuttosto il termine migliore per descriverlo potrebbe essere strano. Talmente strano da meritare una sufficienza, pur presentando un campionario non migliore rispetto al lavoro precedente. Voto:6
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