2012-11-05

Hospice

recensione di hospice degli antlers

Antlers - (2009)


Voi siete ammalato. Gravemente!
Non è vero, siete sano, ma vi trovate ad assistere una donna. Una donna che amate. E' lei che ha un male inguaribile. Non un male qualsiasi, ma qualcosa di definito e definitivo: un tumore alle ossa che non lascia speranze.
La distinzione tra voi e lei si annulla, tanto da creare un continuo passaggio da uno stato d'animo all'altro, dalla cosciente perdizione di un sentirsi divorare dal di dentro alla certezza di perdere una parte di sé a causa di una fine dolorosa, atroce.
Il primo lavoro di Peter Silberman che prova ad uscire dall'indie rock per spostarsi su coordinate post-rock, è un effluvio senza via d'uscita di toni grigi, di ambienti freddi, di tristezza. Ambientato in un ospedale, "Hospice" è un concept-album sul dolore, sulla voglia di affrontarlo dignitosamente, su quella tipologia di amore che solo la morte riesce a scaturire.
Sofferto, giocato sempre sulle precarie corde vocali del front man e su accompagnamenti a dir poco sbalorditivi, questo terzo album degli Antlers- nel frattempo divenuti un gruppo vero e proprio, con l'inserimento nella line-up di Michel Lerner alle pelli e Justin Stivers al basso- stravolge l'emotività, annullando a stretto giro di posta ogni possibilità di staccarsi dalla tristezza e dalla sofferenza che permeano ogni singola traccia, ogni singola nota.
Delicato, permeato di un romanticismo morbido e disperato, Silberman affronta un tema atipico con la sensibilità di un poeta, rifiutando ogni compromesso con i sentimenti buoni e tirando fuori da sé le paure, la solitudine e l'aggressività che una situazione come quella che investe il tema del disco può suscitare.
Ogni suono crea la storia: il finale del "Prologue" richiama una sirena ovattata, nebbiosa, e spalanca nella mente dell'ascoltatore la prima difficile stilettata emotiva, la stupenda "Kettering". La violenza di "Sylvia" e l'impalpabilità di "Atrophy" mettono in crisi il sistema nervoso, facendo calare l'anima direttamente nella vicenda, costringendo la mente a venire in contatto con i due protagonisti del disco senza abbandonare la natura umana dell'ascolto.
E' un'esperienza molto particolare quella a cui si viene sottoposti affrontando "Hospice": gli inganni di strumentazioni sempre lontane e rarefatte riescono a scoperchiare l'attenzione con dolcezza ma anche in maniera incontrovertibile, lasciando l'attenzione nuda di fronte alla disperazione che si fa largo prima con "Bear" e poi con "Thirteen", due facce dello stesso dolore.
Il continuo barcamenarsi tra musiche lontane, sfondi perfetti e tridimensionali, e cantati bianchi ed acuminati, fa sì che le canzoni passino attraverso le barriere della mente senza troppa difficoltà, insinuandosi nella sensibilità con una disinvoltura rara. Impossibile non sentirsi stringere le viscere nel finale rabbioso di "Wake", come resistere al trascinante rapimento della conclusione del disco con la commovente "Epilogue".
"Hospice" è un album bellissimo! Sofisticato e diretto, imprevedibile e profondo, è quel salto di qualità che ci si aspettava da Silberman. E forse anche qualcosina di più. Voto:8,5

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