Cat Power - (2012)
Sei anni! Praticamente una vita per una cantautrice!
Più di un lustro per dare alle stampe un disco di inediti per un'artista è un'eternità! Cos'è che ha tenuto Charlyn Marshall fuori dal giro per tanto tempo?
Beh, in realtà la cantante di Atlanta non è rimasta del tutto immobile: nel 2008 ha pubblicato il suo secondo disco di cover, "Jukebox", accompagnata dalla Dirty Delta Blues Band, è comparsa nel film "My Blueberry Nights", ma soprattutto ha deciso di combattere la bestia che si portava dentro da un po' di tempo, quel male infido e terribile che l'ha portata ad attaccarsi alla bottiglia ed a perdersi: la depressione.
D'altra parte non c'è migliore spot pubblicitario della cantautrice dannata, alcolizzata e depressa, per vendere una marea di dischi. Difatti "Sun", primo lavoro dopo la sua riabilitazione e conseguente bancarotta, va via come il pane: si spera che il pubblico riesca ad apprezzarne anche i contenuti e non solo la confezione!
In ogni caso, "Sun" è un album tortuoso, evidentemente nato da una diatriba interiore di non facile soluzione. Già il fatto che una prima stesura del disco sia stata buttata perchè troppo personale e legata al passato la dice lunga sul travaglio creativo della cantante americana. L'uso di sintetizzatori, drum machine e molta elettronica mette ulteriore carne al fuoco, presentando Cat Power sotto una veste rinnovata ed affascinante.
La title track soffre questa preponderanza di suoni sintetici, lasciando strada alla latineggiante "Ruin" senza aver sciolto il nodo sulla qualità della proposta musicale di questo nono lavoro in studio della Marshall. Poi, le eco beckiane che si nascondono dietro a "3, 6, 9", l'ombra di Suzanne Vega che aleggia dietro a "Human Being" e la melanconia di "Always on My Own", forse unico richiamo alla Cat Power che fu, fanno propendere per un approccio positivo ed aperto ad un album che nasconde troppe insidie per essere ascoltato senza porre barriere tra sé stessi e le canzoni. Lo stesso dicasi per "Real Life" e per tutti i brani della seconda metà del disco, tranne forse l'eccessiva collaborazione con Iggy Pop in "Nothing But Time", troppo bowieana per essere piacevole.
Probabilmente "Sun" è un lavoro che richiede una preparazione, un certo qual riscaldamento prima di poter essere assorbito in toto. Caratteristica questa che rende l'album molto più bello ed appagante ad un secondo o terzo ascolto, piuttosto che ad un primo contatto.
Forse affidarsi alle mani di Philippe Zdar (Cassius) e Brian LeBarton (collaboratore di Beck) è stato un azzardo, ma il risultato non riesce a dar torto alla cantante georgiana. Difatti "Sun" è un bel disco, capace di intrattenere con dovizia l'ascolto e di regalare soddisfazioni poco comuni e decisamente intense. Richiede impegno e un'apertura mentale che non tutti gli ascoltatori possono offrire; ma ne vale la pena! Voto:7
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