2013-08-18

Paris 1919

recensione di paris 1919 di john cale

John Cale - (1973)


"Paris 1919" è unanimemente riconosciuto come il grande capolavoro di John Cale.
Io l'ho ascoltato. Intensamente!
Come si ascolta qualcosa che debba fornire una nuova verità, come se fosse una porta aperta su un ignoto affascinante e pauroso.
Quello che ci ho trovato è un pop raffinato, a tratti subdolamente laconico, sempre avvinghiato alla personalità del polistrumentista gallese. "Paris 1919" è un lavoro che richiama decisamente più l'esordio rispetto a "The Academy of Peril", pur essendo farcito di orchestrazioni e citazioni che definire sontuose sembra veramente il minimo.
Si va da Dylan Thomas ad un pop di matrice squisitamente europea, da William Shakespeare a flebili vibrazioni lisergiche, derivanti probabilmente dal contributo alla stesura del disco dei Little Feat, la band che Cale usa come supporto sonoro per espandere la sua genialità nell'etere.
Questo terzo lavoro in studio dell'ex Velvet Underground esprime prima un gusto morbido ed elegante per il pop d'autore ("Child's Christmas in Wales", "The Endless Pain of Fortune") e poi un'aggressività imprevista e stordente (il boogie di "Macbeth" ad esempio), mette insieme un amore appassionato per i viaggi (reali o mentali che siano), fulgide ossessioni intimistiche e scelte tematiche criptiche, quasi indefinibili. Tutto questo, raccolto in una decina di brani, dà all'ascolto un intenso senso di vertigini, una specie di ubriacatura emotiva che non riesce a trovare molti paragoni nella storia del rock.
John Cale riesce a far convivere fianco a fianco il pop beatlesiano della title track e gli influssi reggae di "Graham Greene", le elucubrazioni ad un passo dal frastuono minimalista di "Half Past France" ed un gusto personale e profumato di antico per la montante cupezza di "Antarctica Starts Here".
Questo è il genio di John Cale!
E questa è anche la sua condanna!
Perchè "Paris 1919" mi ha dato la netta impressione di essere un lavoro sopravalutato; bello sì, ma non così superiore a quanto già fatto sentire dal cantautore britannico in passato. Non si tratta di un album lacunoso, né tanto meno fatto male o di qualità scadente: "Paris 1919" è un disco grandioso, bello, appagante! Ha un'unica pecca: sembrare più importante di quanto in realtà non lo sia. Voto:8

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