2013-08-06

There and Back

recensione di there and beck di jeff beck

Jeff Beck - (1980)


Per quanto discontinuo e poco propenso ad accettare gli standard del mercato discografico, Jeff Beck non molla. Anzi, rafforza il suo sodalizio con Jan Hammer e si porta sempre più vicino ad un jazz-rock dai connotati sintetici, approfondendo i concetti già messi in mostra in "Wired".
Non è il miglior Jeff Beck della storia, né le sue costruzioni musicali riescono a smuovere più di tanto l'ascolto- soprattutto a causa di un sound plastificato, poco incline al contatto epidermico- ma il disco tocca qualche tasto giusto, riesce a stabilire un contatto e, tra alti e bassi, mantenerlo fino a fine album.
L'inizio non è dei più promettenti: "Star Cycle" entra nell'ambiente con la voracità di un essere cibernetico, cacciando l'istinto in un angolino per poi provare a dissuaderlo da principi non proprio accomodanti (come ad esempio spegnere il lettore...) con un paio di tracce meno convulse e asettiche ma ancora non del tutto convincenti come "Too Much to Loose" e "You Never Know".
E' solo con la batteria cruda che apre "The Pump" che inizia ad instaurarsi un vero dialogo tra la band del chitarrista inglese e l'ascolto, per quanto le musiche siano ancora troppo legate ad uno sperimentalismo pesantemente artefatto e ad un sound artificiale. "El Becko" e "The Golden Road" provano a sciogliere questo opprimente senso di deriva tecnologica- per altro riuscendoci solo parzialmente- puntando di più sulla componente jazzistica, ma anche in questo caso qualcosa non quadra, le musiche non ce la fanno a smarcarsi dalla gabbia plastificata nella quale si sono rinchiuse.
Da questo punto di vista anche la chiusura pinkfloydiana intitolata "The Final Peace" e l'incerta traccia che la precede non fanno altro che aumentare il senso di artificiosità che pesa come un macigno su tutto il disco, nonostante le scorribande strumentali di "Space Boogie" e gli ambienti psicotropi del brano che chiude il disco riescano in qualche modo ad alzare il livello qualitativo di un album contorto e difficile, a tratti pacchiano e quasi mai lucido.
Va precisato che l'ex chitarrista degli Yardbirds firma solo la traccia conclusiva; sono Jan Hammer, Simon Phillips e Tony Hymas i veri ideatori del disco!
In ogni caso "There and Back" altro non è se non un tentativo di apparentamento tra le mode elettroniche che stanno per invadere gli anni '80 e la fusion caratteristica degli ultimi lavori in studio del chitarrista britannico e dei suoi compagni d'avventura, un modo per vedere se due mondi così lontani riescono in qualche modo a coesistere. A conti fatti verrebbe da dire di no; ma il tentativo, coraggioso e ammantato di una indiscutibile classe, è lodevole. Voto:6

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