Alvvays - (2014)
Se c'è una giustizia a questo mondo, probabilmente questa risponde al nome di stordimento!
Alcolico, stupefacente, adrenalinico, musicale... che importa?
L'unica legge fondamentale nella vita di chi vuole assaggiare tutto è cercare il limite! E raggiungerlo! E superarlo!
Per compiere questo percorso pericoloso ma affascinante, una persona può affidarsi alle sostanze più varie, ai viaggi più misteriosi, alle scenografie più recondite!
Oppure può volare con la mente nel lontano Canada e scoprire che anche nel profondo nord del continente americano c'è chi può stordire con una musica prelibata, sognante e fantastica: si chiamano Alvvays e- incredibile!- sono al loro esordio sulla lunga distanza!
Molly Rankin, odalisca del nuovo millennio priva di scrupoli dal punto di vista sensibile, guida un quintetto tutto lo-fi e sofisticherie indie, un manipolo di giovanotti che non conosce la differenza tra una musica di qualità e la tentazione fatta sound, e allora mette insieme le due cose e sforna un esordio che penetra l'emotività come potrebbe fare una lama calda in un panetto di burro!
La band di Toronto non sta molto a pensarci: immerge la bassa fedeltà in un intingolo di psichedelia e spiazza l'ascolto con un uno-due da trance garantita come "Adult Diversion" e "Archie, Marry Me". E mica si ferma qua!
Proprio nel momento in cui l'ascolto sembra conquistato, vittima consapevole di uno stato mentale che non può permettersi retrocessioni immuni da colpe, le musiche si assopiscono da sole, concentrando la loro bellezza su sé stesse invece che sull'ambiente nel quale vengono sprigionate.
Così "Ones Who Love You" si perde nello stesso bicchiere d'acqua che i due brani precedenti hanno contribuito a riempire, e "Red Planet" allarga i confini spazio-temporali del sound in maniera talmente disinvolta da relegare la mirabile scrittura e l'illusoria interpretazione dei brani a puro succedaneo di un vero e proprio trip lisergico dal gusto squisitamente retrò.
E l'ondivaga sensazione di aver già sentito qualcosa del genere in casa dei Camera Obscura oppure dei Cranberries più smandrappati ("Dives") di certo non aiuta a risollevare le sorti dell'ascolto!
Certo, si tratta di dettagli che nell'economia del full-length pesano il giusto, di particolari che di certo non riescono a scalfire la bellezza di brani come "Next to Kin", "Party Police" oppure l'ariosa e ventilata "Atop a Cake"; però trattasi pur sempre di punti dolenti che danno fastidio e non permettono al semplice gusto estetico di godere nella misura massima possibile.
A supportare un giudizio eccellente giungono allora due fattori che nella musica spesso giocano un ruolo sottovalutato: i testi e le mode!
Le parole messe in fila da Molly Rankin di certo sono uno degli stimoli più invadenti e contorti che il disco possa offrire; e il fatto che in questa annata- e forse anche da un buon lustro a questa parte!- non si sia palesato un unico album indie pop che possa ambire a qualcosa di più di una discreta sufficienza non fa altro che aiutare "Alvvays" ad elevarsi dalla massa, a diventare gioiello unicamente grazie al fatto che attorno a sé trova solo pietra grezza.
Buon per la band canadese, ovviamente... però ora serve un colpo di reni che possa portare questo album al di fuori dei confini che si è costruito addosso. Del resto, se il punto di partenza è un esordio incredibilmente bello come questo, nulla vieta di sognare!
Voto:7,5
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