2015-02-06

Strut

recensione di strut di lenny kravitz

Lenny Kravitz - (2014)


Finora, di Lenny Kravitz ci siamo occupati poco.
Del resto, le icone mediatiche che tendono a basare il proprio successo più sull'immagine che sul costrutto artistico non sono mai state il principale obbiettivo di queste colonne. Ma, essendo ormai arrivato al suo decimo lavoro sulla lunga distanza, era impossibile non degnare di qualche attenzione il cantautore newyorkese, soprattutto dopo lo sfavillante exploit del primo singolo estratto dal full-length, ossia quel coacervo di "sexytudine" e soluzioni facili che va sotto il titolo di "The Chamber"!

Perfetto punto d'incontro tra un pop in linea con le esigenze del mercato, una disco music molto eighties e un funk d'antologia, il traino riesce senza dubbio a fare il suo sporco lavoro senza dannarsi troppo l'anima.
Arriva, però, poi il momento di scoprire l'album. E iniziano anche i dolori!
Certo, bombardate di chitarre scintillanti e sound al neon come nel caso dell'iniziale "Sex" e della title track aumentano di non poco il tenore adrenalinico del disco, ma a ben vedere non vanno oltre un aspetto molto simile alla curiosità, peraltro rovinato da deja-bu che chiamano in ballo in ordine sparso i Pink Floyd, Prince, i Duran Duran e molta della scena pop-rock anni ottanta.
Qualche altro pezzo può sinceramente ambire a trovare posto tra le migliori realizzazioni sonore del cantautore americano ("Frankestein", la leggerina ma trascinante "New York City"), ma anche in questo caso stiamo parlando di trovate estemporanee, quasi sicuramente legate più al gusto parziale dell'orecchio che ne sta vagliando le qualità che a meriti intrinseci.
La maggior parte dei brani, infatti, sa parecchio di stantio quando non del tutto di obsoleto, e rischia addirittura di scadere nella ridicolaggine in più di qualche episodio ("Dirty White Boots", tanto per fare un titolo). Questo perchè il caro Lenny non riesce a mettersi in testa che ormai non è più un giovincello baciato dalla fortuna, un bel figo che può permettersi qualsiasi cosa senza subirne le conseguenze. L'inguardabile copertina dovrebbe valere da monito a questo proposito!
Oddio, non si tratta neanche di un attempato vecchietto senza più  alcuna velleità d'immagine, però sembra piuttosto evidente che certe scelte stilistiche possano tranquillamente rimanere ancorate al passato senza che nessuno se n'abbia troppo a male. Anche perchè rivangarle così, senza premurarsi che il pubblico sia pronto a scavare nella memoria per recuperare il Lenny Kravitz che fu, sembra una cosa decisamente poco furba!

In fin dei conti "Strut" è un album in qualche modo piacevole e forse addirittura interessante; è, però, anche un lavoro un po' troppo frivolo, aggrappato a modelli mainstream ormai sorpassati e povero dal punto di vista dei contenuti.
Un album un tantino insipido, nel quale non si capisce fino a dove arrivi l'indolenza di chi l'ha creato e inizi, invece, una vera e propria incapacità di saper gestire degli spartiti degni di questo nome.
Insomma, Lenny Kravitz quello che aveva da dire, l'ha già detto. Ora sopravvive sonnecchiando e traendo profitto da quanto fatto in passato. Beato lui!
Voto:5,5

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