2024-12-08

Goga e Magoga

 


Davide Van de Sfroos – (2014)


Quando sento il nome di Davide Van de Sfroos c’è un ricordo che guida i miei pensieri: la partecipazione a Sanremo nel 2011. Buttato nella mischia sotto l’egida di bandiere artefatte e verdi prospettive propagandistiche, osteggiato proprio perché emerso come simbolo di una cultura politica reazionaria per finta e avida per davvero.

Ora, non ho mai saputo se il buon Davide Enrico Bernasconi fosse cosciente di tutto questo baillame o, eventualmente, se fosse d’accordo e sinceramente non è che me ne importi più di tanto. Solo mi ricordo di aver trovato tutto quel teatrino piuttosto comico. D’altra parte è servito per farmi conoscere Davide Van de Sfroos, un cantastorie come ormai in circolazione ce ne sono rimasti decisamente pochi.

Alt. Mi è venuto in mente un altro episodio. Cioè in realtà un parallelismo. Sopra a casa mia c’è un vecchio che scolpisce pietre: le intaglia e le disegna e, giorno dopo giorno ha quasi finito tutta la murata di un vecchio casale. Ecco, secondo me Davide Van de Sfroos è un po’ come il vecchio scultore: fuori dai radar mediatici se non per volontà altrui, molto paziente, ricco di cultura, musicale e non solo, e capace di arrivare alla fine del suo percorso con un lavoro che giorno dopo giorno scava e intaglia e disegna e rappresenta.

Perchè la cosa fondamentale di un album come “Goga e Magoga” è proprio la rappresentazione. Perchè, sì le musiche, dotate di quel aristocratico distacco di chi sa cosa vuole dire e non bada troppo al seguito che ottiene, sì le storie e tutto quello che volete ma alla fine è la rappresentazione della realtà per come la vede l’autore a fare la differenza. E da questo punto di vista già il titolo scelto dal cantautore lombardo per il suo sesto lavoro sulla lunga distanza sembra più che un indizio. Andare in goga dalle mie parti è più o meno l’equivalente di partire per la tangente, ma la componente “magoga” non l’avevo mai sentita. E invece è importante perché apre la porta del full length mettendo ben in mostra il contesto, le finalità e lo scopo del disco.

Un disco che parte dal folk, usa il rock per dare più sostegno alle dinamiche e il pop per ondeggiare quando il percorso diventa troppo rettilineo, che non sfrutta il dialetto per targhettizzare il pubblico ma solo perché le stesse cose, dette in italiano, non hanno lo stesso significato. O per lo meno non riescono a portarlo a destino con la stessa forza.

Se poi l’estetica delle musiche fa sembrare l’ascolto di “Goga e Magoga” un’esperienza un po’ alla riscoperta di vecchie immagini dimenticate in un cassetto, i testi bastano e avanzano a riportare la mente all’attuale. Sì attraverso qualche tuffo nel passato ma soprattutto mettendo in evidenza delle istantanee immediate e reali. L’apice di questo modo di intendere la canzone probabilmente lo possiamo trovare in “Ki”, brano dalla qualità espressiva quasi commovente. Ma anche “Crusta de platen”, “El calderon de la stria” e “Cinema Ambra” possono tranquillamente ambire ad un posto nelle realizzazioni musicali più intelligenti e acute dell’annata in corso.

Quindi, direte, tutto bello e tutto fantastico: “Goga e Magoga” è un album praticamente imperdibile!?

Non esageriamo! Per quanto in modo relativamente innocuo rispetto a una visione generale, qualche difettuccio il sesto lavoro sulla lunga distanza di Van de Sfroos ce l’ha. La durata ad esempio: un tantino eccessiva, soprattutto vista la quantità di stimoli che propone. Voglio dire: brani come “Omen” e “Il viaggiatore” rischiano immeritatamente di non venir notati, di perdersi nella stanchezza di un ascolto ormai arrivato ben oltre la dozzina di brani. Poi c’è l’opener che, per quanto non disprezzabile, ha tutto il sapore di uno zuccherino messo in bella vista per ingolosire l’ascoltatore estemporaneo. Sono inezie rispetto al valore del full length nel suo complesso e, probabilmente, dettagli dei quali Davide Van de Sfroos non sa che farsene.

Perché in fondo “Goga e Magoga” è come il muro intagliato del vecchietto qua sopra casa: racconta le sue storie senza pretendere che qualcuno le noti, né che le capisca. Con pazienza. Ben sapendo che alla fine se si ha qualcosa da dire, qualcuno che ascolta lo si trova sempre.

Voto:7

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