The Bastard Sons of Dioniso - (2014)
Prova che ti riprova, tenta che ti ritenta, anche X Factor è riuscito a tirare fuori qualcosa di buono dalla musica.
Chi l’avrebbe mai detto? Voglio dire, stiamo parlando di un programma in cui viene premiata la scodinzolata e la lacrimuccia facile mica il vero talento. Però anche l’orologio fermo 2 volte al giorno segna l’ora giusta, quindi vuoi per caso vuoi per sbaglio anche a uno dei più longevi talent show del panorama mainstream è capitato di prenderci.
Quindi ecco che nonostante la partecipazione ad X Factor- sto scherzando né, prima che qualcuno se la prenda- un terzetto trentino è riuscito negli anni ad evolversi e creare della musica dall’ottimo appeal e dall’intelligenza rara. Sto parlando dei The Bastard Sons of Dioniso, tra i più interessanti prospetti del filone rock in voga in Italia qualche anno fa e che ha trovato nei Maneskin la sua versione più appariscente e spendibile sul mercato.
Tanto per capirci subito, questo album eponimo è il quinto licenziato dal gruppo valsugano. Giusto per farvi capire che non siamo al cospetto di sbarbatelli alle prime armi. Ma veniamo al succo che qua le righe cominciano e diminuire e del disco non ho ancora scritto niente.
“The Bastard Sons of Dioniso” cos’è? Tanta confusione innanzitutto. Ben studiata e sempre sotto controllo, ma sempre sana confusione. Intendo dal punto di vista rock, quel caos elettrico già caro a gruppi come MC5 e Grand Funk Railroad. Non che voglia fare paragoni con chi ha fatto la storia del hard rock: è solo per avere un parametro di partenza.Per capirci partiamo dall’opener, da quella “Bestia tra il bestiame” che già dà una discreta idea di quale sia il calibro del gruppo trentino: riff alcolici, drumming e ritmiche facilmente accessibili ma con più di qualche trick tecnico a rendere le dinamiche meno scontate del previsto, cantati un po’ da osteria che qua ci stanno come il pane abbrustolito sulla ribollita e cori al limite della magnificenza armonica. E poi i testi: magari un po’ tendenti allo sbrocco ed al turpiloquio, forse essenziali nella loro crudezza ma anche relativamente raffinati sotto il profilo delle metafore e delle metriche.
Ora, non si pensi che questo standard duri senza difetti lungo tutta la track list; quel che è certo è che grandi cedimenti non ci sono. Anzi, risaltano sul contesto alcuni spunti decisamente intriganti come lo svarione pop di “Trincea” e la crudezza icastica di “Compro oro” e “Iodio a Milano”, brani contraddistinti da una penetrante abrasività testuale e da una lucida tendenza critica.
Detto altrimenti, The Bastard Sons of Dioniso sembrano avere parecchie cose da dire. Poi, in base ai gusti, il metodo scelto per farlo può essere gradito o meno, però di certo rispetto alla combriccola mainstream tutta sugli amori estemporanei o sui sentimenti adolescenziali, i brani proposti dalla band guidata da Michele Vicentini hanno decisamente una marcia in più e un certo metodo per farla diventare arte.Anche richiamando le tradizioni (“Precipito”), anche buttandola in caciara (“Samurai”), anche sfiorando la volgarità facile (“Bestia tra il bestiame”)… insomma usando tutto quello che può essere utile alla causa. Che nel caso dei The Bastard Sons of Dioniso sembra essere fare gran musica e spiegare un po’ di quello scorcio di mondo che gli si palesa davanti. Per come la vedo io missione completata con successo. E forse anche qualcosa di più.
Voto:7
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