2025-03-19

Handmade

 


The Ongoing Concept – (2015)


Una persona arriva. Dove? Non conta più di tanto, l’importante è che arrivi.

Poi cosa fa? Parcheggia. Che poi in realtà in questo caso è più un mollare la macchina un po’ come viene, tanto intorno c’è il nulla umano e di sicuro non darà fastidio.

Poi? Toglie le chiavi giustamente che si sa mai che a un tasso gli venga voglia di farsi un giro.

Quindi? Chiude le portiere, qualche passo su un terreno ghiaioso e via di accetta: buttare giù alberi per creare qualcos’altro. E intanto si schioccano le dita, si sbacchetta e si inizia a intonare cori tanto catchy quanto fuori luogo visto il contesto. E poi una breve introduzione che potrebbe far pensare ad una boy band di passaggio e quindi giù con schitarrate ruvide ma solo il tempo di accorgersi che nel suono c’è molto di più e trovarsi di conseguenza spiazzati sia quando le ritmiche diventano arrembanti che al momento in cui l’inciso prende possesso della scena e non è più per niente chiaro che intenzioni abbiano i The Ongoing Concept.

Che poi, visto il monicker scelto sembrerebbe anche qualcosa di coerente, però qua di concetti sembrano essercene sin troppi e la loro copula è tutt’altro che qualcosa di scontato.

Ma poi chi sono questi The Ongoing Concept? E perché il loro secondo lavoro sulla lunga distanza si intitola “Handmade”? Una cosa alla volta, e che mi avete preso per Medopedia? Comunque loro sono quattro tipi un po’ strambi che abitano nel profondo nord degli Stati Uniti, a Rathdrum, in Ohio. E fanno musica. E la fanno a mano. Per questo l’album ha il titolo che ha. E quando dico che la fanno a mano intendo proprio testualmente: abbattono tronchi, lavorano il legno, stendono le pelli, costruiscono gli strumenti. Sì, direttamente dalla materia prima. E poi li suonano.

Già detta così, il fatto che questi strumenti siano suonati bene oppure meno penso passi in secondo piano. Spero solo non seguano questo iter per ogni release perché vero che da quelle parti gli alberi non mancano però un po’ di anima green fa sempre bene, no?

In ogni caso, “Handmade” cosa dice? Racconta di un gruppo che sa maneggiare parecchi stili, dal funk al metalcore, da un hard rock decisamente legato all’entroterra statunitense ad un rock alternativo più per le deviazioni proposte al canovaccio standard che per vere e proprie comunanze di idee con il mondo alternativo propriamente detto.

Ok, ma poi in soldoni l’album com’è? Eh, insomma: si è sentito di meglio, va detto. Brani come “Prisoner” sembrano un po’ dei contenitori di cose che non è che stanno poi tanto bene insieme. Cantati e strumenti in questo caso, ma anche nel resto della track list questa sensazione di troppe cose che fanno fatica a legare è costantemente presente.

Certo, l’opener “Amends” con il suo effetto sorpresa e il continuo cambiare paradigmi ha un certo appeal. D’altra parte un brano come la campagnola e fresca “Melody” che ci fa nel bel mezzo di un campionario comunque decisamente muscolare? Allo stesso modo, i passaggi che portano dal testosterone di “Unwanted” alla ballata che sembra mutuata dai Bon Jovi di un paio di decenni fa che va sotto il titolo di “Soul” fino alla funkeggiante “Survivor” non è che sia proprio tanto chiaro. Poi magari avrà pure un senso nella testa dei The Ongoing Concept però se il messaggio poi non arriva a destinazione forse non è stato pensato con molto ingegno, no?

Un piccolo gioiellino arriva a fine track list con l’ansiogena “Falling” ma ormai quello che c’era da dire è già stato detto è l’ultima traccia può venir derubricata a pura curiosità.

Quindi? Quindi merito al gruppo guidato dai fratelli Scholz per l’apprezzabile tendenza al fai da te. Purtroppo a ben vedere è anche quasi l’unica vera cosa interessante di “Handmade”.

Voto:5,5

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