2025-03-20

Peripety

 


Kardashev – (2015)


Vi avviso subito: per discutere serenamente di “Peripety” servono un paio di spiegoni. Armatevi di pazienza che poi arriviamo alla musica.

Partiamo dai nomi, dai sostantivi. Che se uno vuole dire qualcosa e usa quelle parole e non altre, un motivo dovrà pur esserci, no?

Allora: perchè Kardashev? C’entra qualcosa con Nikolai Kardashev e la scala valoriale da lui inventata? Potrebbe essere, almeno a giudicare da quanto offre il trio di stanza in Arizona. La scala Kardashev si propone di misurare il grado di avanzamento tecnologico di una civiltà o di un popolo, prendendo come riferimento la misura della quantità di energia che quella civiltà o quel popolo è in grado di sfruttare e utilizzare. Sinceramente non so dirvi se sia una cosa che ha un qualche senso, però facciamo finta che sì, che un senso ce l’abbia, se no crolla tutta la narrazione.

Quindi Kardashev ok, primo tassello sistemato. E “Peripety” che significa? Boh, si potrebbe tradurre con peripezia, ma forse così non viene resa bene l’idea del termine. Diciamo che per come la conosco io questa parola significa grosso modo un improvviso cambio di direzione di quello che potremmo definire fato. Per chi ci crede ovviamente. Una specie di subitaneo cambio di circostanze che fa diventare d’un tratto tutto il contrario di quello che era prima. Non so se mi sono spiegato ma se così non fosse c’è una cosa meravigliosa che si chiama dizionario: usatelo!

Quindi: Kardashev ci siamo, “Peripety” spero anche. E allora? Dove vogliamo andare a parare?

Diciamo che adesso abbiamo gli strumenti necessari- ma non sufficienti!- per affrontare l’album di debutto del trio formato da Chris Gerlings, Nico Mirolla e Mark Garrett. Tre visionari che, strumenti alla mano, riescono nel giro di una quarantina di minuti a mettere bene in chiaro il concetto sonoro che vogliono proporre e farlo diventare solida realtà di fronte all’ascoltatore.

A questo punto dovrei iniziare a snocciolare titoli e dirvi questo brano sì, quest’altro no e quest’altro ancora quasi. Ma nel caso di “Peripety” si tratta di un esercizio abbastanza inutile. L’album va assorbito nella sua interezza, se no perde totalmente di significato e forza espressiva. Quindi il fatto di nominare un brano piuttosto che un altro va inteso come un punto di riferimento lungo un percorso, un po’ come quando vi danno le indicazioni per arrivare a destino e vi viene detto di svoltare dopo un tal edificio o percorrere una strada in un senso piuttosto che in un altro.

I Kardashev sanno essere brutali e ambigui, esasperati e luciferini come la tradizione black metal insegna. Nel tragitto proposto nel loro primo album di inediti però questa è solo una delle componenti in gioco: c’è infatti spazio per una meditazione profonda, per un terrore viscerale, per stasi concettuali utili a riordinare le idee e tanto altro. E alla fine, nonostante l’ambito faccia pensare a tutt’altro, “Peripety” porta ad uno stato di assoluta calma introspettiva, alla sensazione di riuscire a vedere l’ordine delle cose: qualità, si converrà con me, tendenzialmente rara a queste latitudini.

In certi momenti- “Lucido” ad esempio- sembra di avere a che fare con un Arjen Lucassen prestato al black metal, più sordido dell’originale ma ugualmente efficace. In altri (“Vigilo”) sembra di sprofondare nel baratro più oscuro della mortalità per poi risalire e prendere profonde boccate d’aria, apprezzandola come non mai. In altri ancora (“Sopor”) sembra di essere direttamente alle porte degli inferi- per giunta già con un piede oltre la soglia- scoprendosi poi in realtà piacevolmente sbalzati in un purgatorio (“Somnus”) fatto di ragionamenti e spirito intellettuale e quindi sperduti in un limbo fatto di un percorso lucido e cosciente ma sempre preda di una minaccia incombente.

Alla fine sarà che misurare una civiltà in base a come sfrutta l’energia non sembra il modo migliore per approcciare l’umanità, sarà che gli accidenti sono parte integrante del vivere e il fatto che siano propizi al nostro cammino oppure ostacoli dipende più da noi che dagli eventi in sé… mettiamola così: “Peripety” è molto più bello se ascoltato senza troppe pippe mentali che accendendo i neuroni e filosofeggiando. Se sia un bene o un male lo lascio decidere a voi.

Voto:7

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