2025-03-14

Inji

 


LA Priest – (2015)


Per chi, come il sottoscritto, nulla sa di Sam Eastgate e dei Late of the Pier- sì, lacuna mia… provvederò a colmarla… prima o poi- mettere su un disco e sentirlo partire con un basso talmente caldo da bruciare ad ogni rintocco, giusto il tempo di trovare la sua giusta coniugazione con cassa e rullante e ripetere questo connubio sexy e penetrante un po’ di volte per poi lasciare posto alle distorsioni tematiche del brano e a dei cantati laconici… ecco, per me una partenza di questo tipo è null’altro che pura e semplice goduria. Un piacere che neanche certi rimandi princeiani riescono a ridurre né in quanto a portata, né in chiave estetica.

Se poi la cosa si sposta su temperature più synth pop o su ritmi in levare, il risultato non è che cambi più di tanto. “Lady’s in Trouble With the Law”, le sfumature eteree ma anche sfalsate di “Gene Washes With New Arm”, il reggae spurio di “Oino”... tutto in questo disco sembra urlare: ascoltami bene perché qui c’è tanto del futuro della musica! E, per quanto possa sembrare un approccio un tantinello arrogante, in realtà c’è tanto di vero nella presa di posizione che ho arbitrariamente affibbiato a Sam Eastgate.

“Inji” ha davvero il potenziale per riscrivere le regole del gioco, soprattutto in ambito ritmico. Infatti laddove nel campionario del musicista inglese non è difficile trovare prototipi piuttosto standard, seducenti quanto si vuole nella loro brumosità ma relativamente innocui sotto il profilo della fantasia compositiva come “Night Train”, c’è sempre e comunque anche la possibilità di restare estasiati dagli oltre 8 minuti di folli digressioni tematiche come quelle che vanno a costruire “Party Zute/Learning to Love”, in assoluto il momento più sperimentale del campionario firmato La Priest.

Poi ci sono piccoli furti metalliferi (“Fabby”), intimità da caminetto e copertina (“A Good Sign”) e una chiusura di full length assurda almeno tanto quanto lo è stato il percorso che ha portato le sensibilità fino a quel punto. E la cosa davvero interessante è che tra le pieghe del songwriting si nota facilmente che alcuni brani non sono finiti. O meglio, non sono del tutto rifiniti, quasi si voglia comunque lasciare spazio per ulteriori evoluzioni future.

L’unico vero cruccio di questo debutto sulla lunga distanza a nome LA Priest è dato dai testi che, se non ho frainteso del tutto i significati, o sono estremamente ermetici o girano in torno ad un faccenda senza in realtà affrontarla mai.

In ogni caso sembra che di questi tempi siano il funk e il rhythm n’blues a fungere da terreno fertile per costruzioni raffinate e tentativi di ammodernamento. Non so se sia una cosa buona di per sé; quel che è certo è che un po’ era ora. Tranne casi sporadici era un bel po’ che in ambito funk tutto girava intorno all’ortodossia. Con lavori come “Inji” i sistemi di riferimento possono non dico venir sconvolti ma subire qualche deviazione di traiettoria, quello sì. Senza dubbio!

Voto:7

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