Dente – (2016)
Quando si affronta un album dal titolo “Canzoni per metà” non ci si aspetta che quanto scritto in copertina sia una vera e propria dichiarazione d‘intenti, ossia il manifesto di una coerenza quasi brutale nel suo volere mettere le cose in chiaro. O forse sì? Forse ci si aspetta proprio questo?
In realtà non lo so. Si tratta di quella sensazione che da una parte ti sussurra all’orecchio: wow, un album fatto davvero di “Canzoni per metà”. Però, dall’altra spunta una vocina che a sua volta bisbiglia: che pollo! E che ti aspettavi con un titolo così? Era piuttosto ovvio che i paradigmi fossero quelli!
Ecco, la verità effettiva è che quando si fa partire un lavoro di Dente, non è proprio ben chiaro cosa ci si aspetti. Arrivato al suo sesto lavoro sulla lunga distanza, il cantautore nato a Fidenza ha ormai parecchi cambi di stile e metodo alle spalle per cui anticiparne le intenzioni è davvero complicato. D’altra parte, tutto si può dire tranne che Giuseppe Peveri non sia chiaro e onesto: lo dice nel titolo cosa vuole fare, che volete di più?
Allora, l’opener “Canzoncina” piazza là un verso e poi se ne va trascinata via da chissà cosa. La seguente “Geometria sentimentale” piazza là un elenco che ricorda un po’ Jannacci ma in realtà non si capisce ben dove voglia portare. Poi c’è la ninna nanna “Come eravamo noi”, forse un primo momento in cui la canzone non dico si faccia vedere del tutto ma almeno si riesca a scorgere in penombra. Quindi arriva “Attacco e fuga” e un’unica frase ripetuta in loop: “in caso di necessità scaglia la prima pietra/ e nell’ipotesi di euforia fai finta che devi andare via”. Che uno sta là imbambolato a chiedersi per qualche quarto d’ora che cosa significhi.
Ora, non ha molto senso snocciolare tutta la track list e tutte le cose balzane che ci sono dentro: sarebbe un gioco tedioso e tutto sommato inutile. Potremmo dire che Dente, in questo suo sesto album di inediti, sia una versione più ermetica di sé stesso, quasi l’essenzialità fatta diventare album. Con punte piuttosto icastiche nel caso di “La rotaia e la campagna” e “Curriculum”.
Il problema è che poi, una volta finito il disco tornano tutti i quesiti che erano stati messi un attimo da parte durante l’ascolto. Ma quindi si tratta di mezze canzoni? Oppure di canzoni mezze? Che non è la stessa cosa. O ancora di idee che avrebbero voluto diventare canzoni ma non ce l’hanno fatta? Tipo “L’amore non è bello” e le sue frasi tutte il -ello che sinceramente sembra una trovata abbastanza infantile da rischiare di urtare la sensibilità tanto quanto di divertirla con un’opzione volutamente puerile. Mannaggia a Dente e alle sue trovate che ogni volta mi costringe a rimuginare su un sacco di cose.
Per fortuna che c’è uno come Dente, che mi costringe a riflettere sul significato delle canzoni e sul senso che possa avere la pubblicazione di un disco. O di metà disco, se preferite. Mi sa che comunque ci ragiono su ancora un attimo e poi, magari, tra un po’ vi so dire se questa roba porta da qualche parte. O forse no…
Voto:6,5
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