2025-04-13

Combattente

 


Fiorella Mannoia – (2016)


Fiorella Mannoia la riconosci subito. Sì, esteticamente, a causa di quei fascinosi capelli rossi. Ma anche vocalmente! Ha un timbro del tutto particolare, capace di sembrare leggero ed accessibile anche quando le corde vocali sono al limite. E anche perché quasi sempre, quando propone degli inediti è piuttosto facile trovare nei suoi brani l’anima di qualche cantautore più o meno coevo.

Questo succede perché l’artista romana raramente firma i brani che interpreta, preferendo che siano altri a fornirle carburante musicale. Nel caso di “Combattente”, ad esempio, per la causa si sono spesi nomi del calibro di Giuliano Sangiorgi, Ivano Fossati, Fabrizio Moro e altri. Il che fa degli album di Fiorella Mannoia qualcosa che assomiglia molto ad un ibrido artistico, ad un costrutto in cui gli ingredienti vengono scelti da altri e la cantautrice capitolina ci mette l’assemblaggio e l’estetica.

Tante volte questo sistema ha funzionato: una su tutte la stupenda “Quello che le donne non dicono”, firmata da Enrico Ruggeri ma indiscutibilmente più affascinante e travolgente se rappresentata dall’ugola della Mannoia. Altre volte, invece, l’eccessiva pesantezza dell’impronta dell’autore dei brani rende il tutto quasi un comodato d’uso artistico, mantenendo ben evidente il distacco tra la scrittura e l’esecuzione.

In “Combattente” queste sfaccettature si possono vedere praticamente tutte: si tratta della prima caratteristica un po’ volatile di un album decisamente felpato e tendente al conservativo. Si parte con “Che sia benedetta”, brano piuttosto cardinalizio, di quelli fatti ad uso e consumo della generalità più impermeabile al senso effettivo della musica. Diciamo un colpetto rufianotto per farsi riconoscere e poter proseguire con la track list.

Arrivano quindi la title track e “Nessuna conseguenza”; che poi sembrano più o meno la stessa cosa a livello di impronta creativa. Un piccolo shock arriva poi con l’elettronica quasi technofila di “Siamo ancora qui”, brano un attimino incongruente con quello che ci si potrebbe immaginare come il campionario della cantante romana. Diciamo, comunque che fino a qua non è che si veda poi tanto il carattere della Mannoia: sembra quasi che l’unico obiettivo sia dar voce a brani scritti per lei ma che evidentemente non le appartengono.

Qualcosa cambia quando le musiche rallentano e diventano più minimali, effettivi accompagnamenti per una lirica inconfondibile e tremendamente bella. E’ il caso di “I pensieri di Zo”, “Anima di neve” e “Perfetti sconosciuti”, i momenti migliori di una track list relativamente poco impegnativa in quanto a stimoli e decisamente in linea con quanto proposto dalla cantante capitolina lungo la sua eterna carriera.

Insomma, la Mannoia è sempre e comunque la Mannoia, con i suoi pro e i suoi contro. Tutto il resto sembra un po’ troppo soporifero per tenere botta o forse sempre troppo uguale a sé stesso per pensare di mantenere alto il tono di un album tendente per sua natura ad eclissarsi. Da un certo punto di vista sembra che neanche la stessa Fiorella Mannoia ci creda fino in fondo: la scelta di mettere alcuni dei suoi più grandi successi in versione live a rimorchio del disco potrebbe essere una prova a supporto. Dopo di ché è anche difficile trovare pecche ad una track list che non vuole osare, non si permette di uscire da schemi sicuri e non accenna ad alcun azzardo. Detto altrimenti, un album onesto. Niente più.

Voto:6

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