2025-04-05

Gone Again

 


Patti Smith – (1996)


Come l’araba fenice, Patti Smith ha sempre avuto la capacità di rinascere dalle sue ceneri.

Era già successo a cavallo tra gli anni ‘70 e la decade successiva. Purtroppo in questo caso le ceneri ci sono davvero e non sono quelle della cantautrice chicaghense ma di persone che l’hanno accompagnata lungo l’intenso e fondamentale percorso umano ed artistico affrontato nell’ultimo ventennio, un percorso fatto di arte e di rivoluzione, di musica e silenzi. Più silenzi che musica peraltro, cosa mai del tutto sottolineata ed apprezzata dalla critica quanto avrebbe dovuto essere.

“Gone Again” è il frutto di questo percorso, la maturazione rock e folk di una poetessa che ha saputo riscrivere l’impatto della musica sulla società prendendo da questa le suggestioni per farlo. Proprio da questo stato di cose nascono alcuni dei momenti più belli del disco come la title track, lascito artistico del marito Fred “Sonic” Smith, oppure “About a Boy”, più riconducibile al primo periodo della cantautrice statunitense la prima, decisamente più oscura e matura la seconda, evidente rigurgito della fase post-punk.

Nel suo sesto lavoro sulla lunga distanza, Patti Smith svela la sua anima più declamatoria, dando libero sfogo a narrazioni cupe e intristite dagli eventi della vita, sempre profumate di poesia urbana e desiderio di aprire uno spiraglio ai sentimenti e permettere loro di affacciarsi al mondo.

Non so dire se è questo desiderio a fare di canzoni come “My Madrigal” oppure “Dead to the World” gemme cupe di emozioni vibranti oppure se è la paura di concedere troppo spazio alle emozioni a rendere incredibilmente umane le liriche della maggior parte dei brani di questo full length, fatto sta che “Gone Again” sembra quasi il debutto di un’artista pronta a mettersi in gioco piuttosto che la conferma di un tragitto tanto spericolato quanto fondamentale come quello intrapreso da Patti Smith nella sua ormai ventennale carriera.

Il punto però è un altro: “Gone Again” è un gran bel disco perché è fatto di canzoni stupende. E questo, forse, nel tempo è un concetto che si è andato perdendo sull’onda della fascinazione che da sempre la cantautrice americana ha sprigionato.

Canzoni in qualche modo semplici nell’estetica, quasi ludiche come “Summer Cannibals” oppure “Ravens” eppure dense e ficcanti non appena ci si soffermi a gustarne il contenuto, gli ingredienti, il modo con cui sono stati mescolati e la sensibilità con cui è stato confezionato il tutto. Del resto, prendere un pezzo di Bob Dylan e farlo proprio come se in realtà fosse sempre stato nella disponibilità più immediata, è un’operazione tanto folle quanto seducente.

Comunque, per capire quanto sia profondo il solco tracciato dalla cantautrice statunitense nell’anima della musica si faccia caso solo ad un dettaglio, giusto per mettere l’accento su quanto sia prepotente la forza espressiva di Patti Smith: non è singolare che un album come “Gone Again”, pur essendo malinconico e dolente riesca ad essere comunque al contempo anche polemico e solo raramente consolatorio?

Questa è l’arte che emana da Patti Smith. Ed è una dote che solo in pochi, pochissimi nella storia hanno saputo tradurre in musica.

Voto:8

Su Graffiti Musicali, di Patti Smith potete trovare anche:

e altro ancora, digitando Patti Smith nella casella di ricerca del blog.

Nessun commento:

Posta un commento