Bugo – (2016)
Cristian Bugatti, in arte Bugo: elemento relativamente peculiare in un ambito come quello discografico tricolore.
Innanzi tutto perché dà sfogo ad un genere come il sytnh-pop- più pop che synth ma là siamo grosso modo- che in Italia non ha una tradizione particolarmente nobile, se non con qualche accenno negli anni ‘80 e una ripresa di vigore relativa nel decennio successivo. E poi perché sembra attingere da un sacco del passato musicale della penisola ma, tranne qualche eccezione, senza cadere nel puro citazionismo o nel revival quanto piuttosto costruendo una specie di laboratorio di antiquariato per soluzioni musicali vecchie da mettere a nuovo.
Prendiamo ad esempio l’opener “Cosa ne pensi Sergio?”- “RadioBugo” vale da introduzione, almeno nella mia testa- e quel suo divertente e scanzonato mettere in risalto un pop squisitamente ottantiano, pronto ad esplodere negli incisi ritrovando tutta la sua contemporaneità.
Poi c’è la cantilena di “Nei tuoi sogni” e siamo già in una specie di sodalizio tra degli A-Ha privati del giro scala classifiche e cantati alla Grignani, solo un po’ più intimi e sofisticati. Ecco, già che siamo sull’argomento: com’è che ogni volta che Bugo alza un po’ i toni dei cantati tirando fuori l’anima rock(a) delle sue corde vocali- in “Deserto” ad esempio- la somiglianza con Gianluca Grignani è devastante? Comunque…
Andando un po’ a briglie sciolte: la restaurazione musicale prosegue con discrete dosi di Vasco (“Me la godo”), un salto a salutare il David Bowie post berlinese di “Let’s Dance”- “Ehi! (Back to Rock)”- e un Battisti immerso in ritmiche direttamente trafugate dalle Ronettes di “Be My Baby” a loro volta trangugiate da un’elettronica oscura e ossessiva (“Sei la donna”). E poi c’è “Tempi acidi” e quella chitarrina che anche se mi spacco la testa non mi viene in mente da dove arriva. Sì, anche qua c’è il buon vecchio Bowie ma c’è anche dell’altro… Ah, ecco… forse “Suicide Blonde” degli Inxs.Vabbè, comunque, per chi abbia memoria dei tempi d’oro del pop sintetico i rimandi sono molteplici, spesso di nicchia come i Digital Emotion, tanto per fare un nome che difficilmente richiamerà un qualcosa di preciso a chi legge. E poi ci sono i testi: sarcastici, birichini oppure sentimentali e introversi, o ancora violenti, criptici e urbani. Di certo in questo suo ottavo lavoro sulla lunga distanza, Bugo non fa mancare proprio niente.
Ora, il problema sta tutto nel decidere se un puzzle completato con pezzi altrui ma incastri autografi riesca a convincere la sensibilità dell’ascolto. Detto altrimenti: prendiamo la citazione come regola a sé stante della composizione musicale o la derubrichiamo ad excusatio non petita per la mancanza di idee autogene?
Diciamo che, se fossimo al cospetto di un dj direi che tutto sommato l’usufrutto fa parte del mestiere e non ci sarebbe niente di cui discutere. Nel caso di un cantautore invece le cose non sono così semplici e un po’ di acidità nello stomaco, questo rimestare nel passato me la crea.Scanso agli equivoci: “Nessuna scala da salire” è un album gradevole, a tratti bello, di certo interessante. Il problema è riuscire a concedergli quel qualcosa in più che ne possa fare un riferimento nella mia personale memoria discografica. Forse c’è solo bisogno di tempo, di quella sedimentazione che nel pop di solito porta a risultati discreti. Solo che il tempo che chiede il disco è rivolto in avanti mentre quello usato da Bugo guarda imperterrito all’indietro, e in questa antinomia l’album rischia seriamente di esaurirsi senza aver dimostrato quanta arte abbia al suo interno.
Voto:6
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