Get Well Soon – (2016)
Entrare nel mondo di Konstantin Gropper, alias Get Well Soon, è come varcare la soglia di un mondo alternativo in cui dolenza e ricordo si mescolano in modo da creare un ambiente disagevole, solo sporadicamente abbagliato da luci penetranti, più spesso semplicemente adagiato a guardare lo scorrere degli eventi. Che poi possono essere ricordi, mica è necessario si tratti di realtà istantanea. Fatto sta che “Love” già con l’iniziale “It’s a Tender Maze” blocca totalmente ogni movimento un po’ come fanno le sabbie mobili quando ci si finisce dentro.
Detta così si potrebbe pensare che la sensazione sia in toto negativa. E invece no! Cioè, difficile dire che affrontare i temi del quarto album di inediti del cantautore tedesco sia confortevole, però la voglia di lasciarsi un po’ andare e sentirsi trasportare dai percorsi e dai viaggi che fanno capolino costantemente lungo le tracce è a suo modo un’esperienza che regala soddisfazioni.
Ad esempio quando spunta la leggerezza di “Aulogy” dopo un binomio iniziale prima oscuro e poi scintillante, destabilizzante in questa antinomia. Ecco, forse tra tutti gli aggettivi, quello che sta meglio appiccicato addosso a “Love” è ambiguità. Nei testi innanzi tutto, sia negli scampoli più criptici che in quelli brutalmente realistici. Ma anche nelle musiche, soprattutto laddove vengono messe a stretto contatto lagnosità intrise di melanconia (“It’s An Airlift”) e ostinati folk-rock dal sapore nettamente caveiano, ossia un pop altisonante e quasi imperioso nella sua tendenza barocca (“Marienbad”) e un momento di pura introspezione cantautorale (“33”) che quasi quasi ricorda i lenti più oscuri di Fabrizio De Andrè e che a conti fatti risalta come momento emotivo più ficcante del disco.La cosa che stupisce è che in questa ambiguità e nelle tendenze vagamente derivative di alcuni brani- per informazione citofonare Tom Petty- in alcuni episodi il disco riesce comunque ad attrarre a sé l’attenzione e trovarsi un suo posto ben definito nell’ambiente. Soprattutto nella porzione di mezzo della track list, laddove le pulsioni del musicista teutonico sembrano sgorgare senza alcun freno inibitore.
D’altra parte, un album che termina con due brani dal titolo “It’s a Mess” e “It’s a Fog”, visto quanto scritto sopra, può se non altro ambire al premio coerenza 2016.Resta il fatto che “Love” da una parte attrae e dall’altra respinge, cerca attenzione ma poi la schernisce, necessità di un ascolto vigile ma poi se ne va come se niente fosse. In questa ambiguità perdersi è relativamente semplice, un po’ come scoprirsi turisti lungo un percorso che non porta da nessuna parte. Un po’ come quando si incontra l’amore e il desiderio viaggia a braccetto con la paura, l’idealizzazione si scontra con la realtà, il destino promette quello che nessuno può mantenere. Però con amore. Sempre con amore.
Voto:5,5
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