Aubrie Sellers – (2016)
Allora, sì, è vero: fidarsi delle etichette spesso è sbagliato. O quanto meno può facilmente essere fuorviante.
D’altra parte, se in mano vi arriva un album che si intitola “New City Blues”, addobbato da una copertina relativamente sobria, fatta per lo più di luci e neri, tolta la freschezza un po’ da neofita e un po’ da vamp della protagonista, tutto porta a pensare di essere al cospetto di un album blues. Magari non proprio ortodosso, tendente al pop oppure al folk, ma insomma, più o meno quella roba lì.
E invece quando parte “Light of Day” diventa subito chiaro che qua il blues c’entra poco o nulla. E pure tutte la altre cose scritte sopra. “New City Blues” è un disco di sano, virulento, tradizionalista country americano. Né più, né meno!
Mica è un’offesa, sia chiaro. Anzi, la musica country ha saputo offrire nel tempo artisti e album di assoluto valore. Me ne venisse in mente uno in questo momento sarei felice ma la colpa è della mia ignoranza, non certo del genere più venduto negli States.
Comunque, tornando al discorso principale, bruciare le aspettative in maniera così subitanea e prepotente lascia un po’ spaesati. Giusto un attimo, il tempo di assaggiare l’opener e gustarsi la frizzantina “Sit Here and Cry” e capire che tutto sommato l’album di debutto di Aubrie Sellers ha tutte le caratteristiche per divertire ed intrattenere.No, non per tutte le 14 tracce che formano la scaletta del disco, altrimenti staremmo parlando di un prodigio. Però per buoni due terzi della track list, “New City Blues” riesce nel suo intento principale: suonare tosto, ammaliare con la sua tenace corposità tradizionalista e pescare nell’attenzione dell’ascoltatore abbastanza richiami al passato del country da suonare al contempo familiare e rassicurante.
E dire che brani come “Liar Liar” e “People Talking” avrebbero anche il potenziale per astrarsi dalla pura consequenzialità di genere, però forse nel contesto del full length osare ulteriormente sarebbe stato quasi inopportuno. E allora gustiamoci brani tutti terra e bestiame come “Magazines”, profumi di mandrie pascolanti come in “Losing Ground” e “Humming Song” oppure sapori un po’ più urbani ma pur sempre lontani dalla frenesia delle città come “Dreaming in the Day”. Tutto tremendamente riconoscibile, tutto magnificante bello se calato nella sua dimensione.
Oddio, a ben vedere anche tutto relativamente anonimo, pur sempre tenendo presente che in ambito country la fantasia non è vista di certo come una qualità positiva.
Detto altrimenti: “New City Blues” è un disco piacevole, carino, un album da cui si potrebbero trarre parecchie colonne sonore per telefilm tipo “Una mamma per amica” o robe così. Poi, certo, si tratta anche di un full length che si ascolta una volta, forse due, poi la noia prende il sopravvento e l’oblio che ne deriva altro non è se non una naturale conseguenza di un andazzo sin troppo simile alle copie che intende copiare.
Certo, è country e in quanto tale i piedi ben piantati a terra e pochi desideri di smarcamento si possono anche accettare. La mancanza di personalità invece è un limite un po’ più difficile da bypassare al momento di valutare un disco come “New City Blues”. Però è anche un album d’esordio e forse il carattere verrà fuori sulla distanza. Io, personalmente ho qualche dubbio ma si sa mai…
Voto:6
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