2025-05-06

Tropix

 


Ceu – (2016)


Quando si varcano i confini di “Perfume do Invisivel”, prima traccia di “Tropix”, sembra di entrare in un mondo incantato in cui musiche eleganti e provocanti, un minimalismo un po’ pop e un po’ colonna sonora osé di una cinquantina di anni fa, e un andamento cullante e tremendamente caldo prendono possesso dell’ambiente con una naturalezza disarmante. E poi quella botta funk a sconvolgere tutto. Ed è subito amore!

Chi è questa Ceu che si permette di sconvolgere i miei gusti musicali con tanta veemenza? Perchè io e il Sudamerica non abbiamo un gran rapporto in quanto a suoni e ritmi. Niente di personale, proprio una specie di antipatia a pelle. Eppure “Tropix” ha la capacità di presentarsi, pigliarsi sul groppone la sensibilità e portarsela a spasso a piacimento.

Merito soprattutto di Maria do Ceu Whitaker Pocas, nome anagrafico riassunto nel più sobrio monicker Ceu.

Merito però anche di un movimento, quello della nuova generazione di cantautori e cantautrici brasiliani che hanno colto la sfida di far uscire la classica bossa nova dal suo guscio di etnicismo puro e indisponente e farla diventare qualcosa di più moderno e digeribile ad ogni latitudine. E bello, come nel caso del quarto lavoro sulla lunga distanza dell’artista paulista.

Perchè, va bene, uno potrebbe dire: azzeccare una canzone non significa automaticamente creare un album bello. Vero. Però bypassate la traccia d’apertura e passate a “Arrastarte-el”: verrete travolti dalla passione un po’ seria e un po’ birichina delle musiche. Oppure andate ancora avanti, troverete “Amor Pixelando”, un brano che sembra una ballata lustrinata di diretta derivazione settantiana e che poi invece si scopre un pezzo synth-pop dall’aspetto giocherellone e ammiccante.

E via di questo passo con l’affusolata e furbetta “Varanda Suspensa”, un “Interludio”, spinto sotto il profilo della componente “Etilica”, decisamente più sintetico e psicotropo, un momento più teso e “creepy” come “A Menina e o Monstro” e un’altra mezza dozzina di canzoni dal carattere sformato ma anche ben definito, quasi in una dimensione canzone che appaia come una specie di matrioska in cui un profilo si nasconde dentro l’altro, celando una certa realtà emotiva piuttosto che un’altra.

Ecco, forse la sola “Chico Buarque Song”, uno dei pochi momenti non autografi del campionario offerto dalla cantautrice brasiliana, sembra un tantino fuori contesto, quasi l’inserimento posticcio di un elemento piatto in mezzo ad una moltitudine di concavità e convessità.

Pur tenendo conto che sul finire il disco tende un po’ assestarsi su parametri non dico standard ma comunque decisamente meno affascinanti rispetto alla prima metà della track list, “Tropix” è il classico album che non permette alternative se non dopo svariati ascolti, che non si limita a farsi percepire ma necessità di essere gustato, assaporato e amato.

Ma non di quell’amore al quale siamo abituati noi, diversificato tra un consumo spasmodico dall’assuefazione rapida oppure una venerazione perenne prossima quasi alla santificazione. No, “Tropix” è un disco che si ama nel momento in cui c’è, un po’ si desidera quando finisce ma per il resto semplicemente si è felici che esista.

Voto:7,5

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