2025-05-31

Tug of War

 


Paul McCartney – (1982)


“Tug of War” è l’unico album che ho di Paul McCartney. E tale resterà.

Non perché non mi piaccia il suo modo di comporre musica, né per chissà quale altro motivo; semplicemente, essendo cresciuto in una famiglia di beattlesiani molesti con una specie di venerazione per qualsiasi cosa sia legata alla band di Liverpool e in particolare al buon vecchio Paul, mi trovo veramente in difficoltà a mantenere il giusto distacco nel commentare un disco. Detto altrimenti: ho paura di venire diseredato!

Peraltro “Tug of War” mi è capitato tra le mani per caso, nella versione rimasterizzata ed arricchita- arricchita?- del 2015, ma per capire il quinto lavoro sulla lunga distanza dell’ex Beatles bisogna mettere in fila un po’ di riferimenti storici. Tuffiamoci nel passato...

I Beatles si sciolgono nel 1970. L’hanno dopo Paul McCartney, secondo alcuni già morto dai tempi di “Revolver”, fonda i Wings con la moglie Linda e Denny Laine dei Moody Blues. Al momento di pubblicare “Tug of War” il progetto Wings è appena stato messo nel cassetto. Chiusa una porta si apre un portone, si dirà. Magari finalmente c’è la possibilità di dare sfogo a quella carriera solista tanto ambita un decennio prima e mai del tutto decollata. E invece no, perchè l’episodio che più di ogni altro segna il momento personale e artistico di Paul McCartney è l’assassinio di John Lennon.

Ecco, “Tug of War” vive di questi sentimenti. Tutti insieme. Certo, non solo questi ma di sicuro anche questi. E allora si parte con la title track e con un profumo di Beatles piuttosto coprente, al limite dell’artefatto musicale. Si prosegue con tinte americaneggianti a cercare di dare brio ad un inciso squisitamente britannico e un pop che strizza l’occhio agli aficionados dei Beatles senza star troppo a disquisire sul merito effettivo del songwriting.

La svolta- se in positivo o in negativo dipende moltissimo dalle orecchie che la valutano- arriva poi con il primo dei due duetti con Stevie Wonder: “What’s That You’re Doing?”. La sbandata funk, in piena distorsione compositiva, di colpo fa perdere ogni equilibrio al disco e costringe l’ascoltatore a pensare che da qua in avanti saranno cose strane. E invece d’un tratto, così come il senso per l’ignoto si era acceso, immediatamente si spegne. Perchè la dedica a John Lennon intitolata “Here Today” torna mestamente alla ballad canonica, non necessariamente poco meritevole ma di certo sciapa rispetto al brano precedente. Il resto del campionario non va oltre ulteriori cose buttate un po’ a caso in track list (“Ballroom Dancing”, “Get It”), ulteriori momenti puramente beatlesiani (“The Pound Is Sinking”, “Wanderlust”) e un unico brano effettivamente autentico, zuccherino e piacente come nella miglior tradizione legata a Paul McCartney, ossia l’altra collaborazione con Stevie Wonder, intitolata “Ebony and Ivory”. Fine.

“Tug of War” grosso modo è questo: l’incapacità di vedere il futuro perché il passato è troppo ingombrante e fa ombra a qualsiasi velleità innovativa che non sia direttamente derivata dalla mente di artisti terzi.

Poi possiamo convenire che il disco in sé, tolta qualche stortura e qualche sbadiglio, non è neanche poi così male. Però stiamo parlando di Paul McCartney, non dell’ultimo sbarbatello del pop capitato per caso in uno studio di registrazione, quindi le attese sono dall’elevato in su. E “Tug of War” di certo non ha le caratteristiche per mantenerle vive.

Poi, se uno va a vedere, i punti di riferimento per valutare un album come questo fanno decisamente la differenza. Per esempio se pensiamo che il full length sia stato fatto da una persona morta da una buona quindicina d’anni, la storia cambia un po’, no? In ogni caso, pur rispettando la santità della figura di Paul McCartney nella mia piccola cerchia familiare, un album come “Tug of War” mostra abbastanza difetti da non meritare che una striminzita (in)sufficienza. Sempre nella speranza che mia mamma non legga mai queste righe.

Voto:5,5

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