2025-06-05

Ascolti Perduti #37

 


Ho deciso di non dedicare un post a sé stante a “Cosmic Cornucopia” (2015;Voto:7) degli Slugdge solo perché si tratta di una compilation. Anche se in realtà è una compilation un po’ sui generis. Nel senso che racchiude i primi tre album della band britannica riproponendoli tali e quali gli originali e nella sequenza che la narrazione impone.

Ora, tolto il fatto che assorbirlo tutto d’un fiato è un attimo spossante, bisogna ammettere che “Cosmic Cornucopia” ha un suo perché. Intanto vive di una storia che si evolve nei tre episodi originali e quindi presenta una consequenzialità logica impeccabile. E poi perché non sazia mai del tutto grazie ad un complesso lavorio di copula tra generi e stili e perché la struttura sonora del gruppo inglese è piena di idee interessanti, qualcuna evoluta, qualcun’altra ancora da evolvere ma comunque idee decisamente futuribili. Bravi Slugdge!


Bravo anche Paul Carrack, vecchierello della musica leggera inglese con un curriculum alle spalle che parla di Mike and the Mechanics, Roxy Music e un sacco di altre cose.

Il suo “Soul Shadows” (2016;Voto:6) non è altro che un’ulteriore dimostrazione di eleganza e stile, di un sound che fa della raffinatezza un po’ retrò il suo punto di forza. Detto altrimenti: il classico album che si ascolta volentieri in macchina lungo le tangenziali deserte di notte. Oppure il disco perfetto per chi sia rimasto legato ad un sound che fa del soul, del funky e della leggerezza antica e pregiata un riferimento imprescindibile.

Insomma, “Soul Shadows” è un album che avrebbe potuto tranquillamente venir pubblicato una sessantina di anni fa ma che ha le giusti dosi di tranquillità e buongusto per essere bello ancora oggi.


Bene, ora passiamo la manica e andiamo a incontrare un altro Paul, retrocediamo nella datazione anagrafica del disco e facciamo un volo pindarico in avanti nel tempo passando a uno dei grandi maestri del hardcore mondiale: Paul Elstak.

Penso non esista dj attivo nei due decenni a cavallo del cambio del secolo che non conosca Paul Elstak. Brani come “Don’t Leave Me Alone” e “Luv You More” per la parte più commerciale- quello che venne chiamato happy hardcore- oppure “You’re Mother Suck Cocks in Hell”, “Rage” e “Show No Fear” per quella dal profilo più gabber-centrico penso siano brani noti grosso modo a tutti gli addetti ai lavori ed agli appassionati del genere.

“Show No Fear” (2007;Voto:6) riassume un po’ le cose, propendendo un po’ verso la componente più ortodossa del hardcore e tralasciando quella happy, però tutto sommato con un discreto gusto per la progressione tematica.

Un disco solo per fanatici e nostalgici? No, anche per curiosi. Perchè dietro c’è una cultura immensa e, purtroppo, con il passare degli anni ce la stiamo un po’ dimenticando.


E’ invece decisamente meno difficile capire perché ci sia dimenticati- sempre che qualcuno, a parte il sottoscritto, si sia accorto della sua esistenza- di “Graves of Ceaseless Death” (2016; Voto:5,5), primo e unico album licenziato da Alex Bouks e dall’ex Kalopsia Matt Medeiros con il monicker Ruinous.

Si tratta del classico album death metal dai forti richiami old school che poco toglie e poco aggiunge alla scena estrema attuale. Non un brutto album: assalti roventi e sulfurei come “Transfixed on the Gate”, la più thrashosa “Dragmarks” oppure “Plague Maiden” fanno muovere volentieri il capoccione in avanti e indietro. Però l’effettiva personalità della band statunitense non è che si riesca a cogliere se non in rari e relativamente poco indicativi momenti. Volendo metterla in slogan, il classico album senza infamia e senza lode.


Lo stesso ragionamento grosso modo vale per “Serpentine Dominion” (2016;Voto:6) dell’eponimo side project di Adam Dutkiewicz, anima e front man dei Killswitch Engage.

Anche in questo caso difficile dire che si tratti di un full length non riuscito: in fondo mette sul piatto un discreto- e fulmineo: neanche mezz’ora di track list!- e curioso mix di metalcore e death metal di stampo melodico. D’altra parte i compagni d’avventura della voce dei Killswitch Engage sono nomi del calibro di George Fisher dei Cannibal Corpse e Shannon Lucas dei The Black Dahlia Murder. Insomma, non esattamente dei pivelli della scena estrema.

Il problema di “Serpentine Dominion” è che è sin troppo evidente che si tratta di uno sfogo estemporaneo, privo di una narrazione vera e propria alle spalle o di un senso logico all’interno di un percorso. Detto altrimenti, più o meno la tipologia di album che fa gola a completisti e fanatici.


P.S.: Avrete notato che ho messo anche un video in questo post di Ascolti Perduti. Non lo faccio mai: questa è nata come una rubrica asciutta e priva di fronzoli. Però, andiamo, "Don't Leave Me Alone"- peraltro neanche nella track list di "Show No Fear"- è stato per un sacco di tempo il primo disco della mia valigetta, il vinile da esibire quando si arriva in console, il disco che magari non viene suonato- o per lo meno non in questa versione- ma che vale da biglietto da visita. Una citazione era necessaria!

Nessun commento:

Posta un commento