Sidney Gish – (2016)
Sidney Gish, all’epoca del suo debutto sulla lunga distanza, ha neanche ancora vent’anni.
Che fa? Indie pop trovo scritto da molte parti. Che poi, di per sé significa gran poco. Soprattutto in un periodo in cui sembra che i veri cultori della musica verace, pop o rock che sia, devono per forza avere stampato in fronte il simbolo indie. Scusate il sarcasmo.
Però, effettivamente, una ragazzina che dà alle stampe il suo primo album a diciannove anni, peraltro facendo tutto da sola, nella sua cameretta… beh, un po’ di fascino lo esprime già così. Se poi il primo lavoro sulla lunga distanza porta come titolo “Ed Buys Houses”, il fascino aumenta a dismisura. E mettiamoci pure la breve descrizione che la giovane cantautrice piazza in faccia a chi sia capitato sul suo profilo Bandcamp: “This is about boston, new jersey, dead suburbs, being dumb, going crazy, growing old, and being a bitch. I hope your inner idiot kid enjoys the tunes”.
A questo punto è impossibile resistere: su l’album in cuffia e si parte. E si parte decisamente strani!
La title track, tolta la componente beatbox, è un pop a cappella, tutto intorcigliato intorno alla componente vocale, travolgente e acidula, che prende per mano l’ascoltatore e lo presenta al resto della track list.
Per non parlare poi di “Buckets of Fun” e della sua furia adolescenziale- andiamo: è o non è esattamente quello che ognuno di noi pensava ad un certo punto della sua esperienza puberale?- oppure di “Homecoming Serf” e di quel gusto selvaggio che sgorga dalle liriche e trova un perfetto contraltare nell’innocente voce narrante!
Sembra proprio che Sidney Gish abbia colto in pieno il significato di un album giovane, fresco, ispirato e tremendamente violento. No, non nelle musiche, che comunque, per quanto ristrette nel recinto del già sentito, non si fanno mancare stimoli e provocazioni; no, mi riferisco soprattutto ai testi, a quella voglia di tirare fuori tutta la frustrazione del sobborgo alienante, dell’età dell’inutilità, in cui pensi che il mondo debba scoprirti solo perché tu stai scoprendo il mondo ma in realtà sei troppo grande per fare tenerezza e troppo piccolo per essere preso sul serio. Diffidate sempre di chi vi dice: il futuro è tuo. Soprattutto se sapete di vivere nel presente. Comunque, tornando al disco…
Sidney Gish sembra averlo capito tutto d’un tratto ed averlo trasmesso nelle sue canzoni con la brutalità e l’ingenuità di una giovinezza prossima ad abbandonare la spensieratezza a lasciare il posto a quella che troppi pensano sia la vita vera, quella degli adulti. Con una punta di poetica assoluta in “Presumably Dead Arm”. Il tutto per un disco che non sarà maturo, non sarà fatto bene, non sarà rivoluzionario, ma in tutto e per tutto puzza di vita. Ed è una puzza della quale ci dimentichiamo troppo in fretta.
Voto:7,5
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