Paul Weller – (1992)
All’inizio c’erano i The Jam. Poi arrivarono gli Style Council. Infine fu il turno di lui, solo e medesimo: Paul Weller. Che poi dei gruppi sopra citati era anima e corpo. Sì, forse più anima che corpo ma il discorso non cambia più di tanto.
Il background comunque parla di punk, power pop, new wave, acid jazz e soul. Almeno fino a “Paul Weller”, debutto solista dell’omonimo cantautore. Perchè dopo la pubblicazione di questo primo lavoro in solitaria tutto cambia.
No, non i generi di riferimento, quelli, tolte le impennate punk della prima gioventù artistica, ci sono più o meno ancora tutti. No, quello che cambia è il tono generale delle musiche, in qualche modo ancora in contatto con il passato- “Amongst Butterflies” e “I Didn’t Mean to Hurt You” sono di diretta derivazione Style Council- ma contemporaneamente anche distaccate da trascorsi ancora relativamente ingombranti. Lo dimostrano lo studio di paradigmi cari agli Small Faces (“Uh Huh Oh Yeah”) oppure ai Traffic (“Bull-Rush”), gli accenni lisergici di “Clues”, il Marvin Gaye che si nasconde nell’ombra di “Above the Clouds” e, in generale, i profumi di black music presenti in quasi tutti i momenti del disco.
Messa così potrebbe sembrare che il primo lavoro solista firmato Paul Weller sia un album per lo più derivativo. Invece non è così! Per quanto certi richiami siano piuttosto immediati o comunque evidenti, la firma del cantautore londinese si sente sempre, quasi come un timbro messo su delle dichiarazioni d’intenti non esattamente originali ma pensate e poste in opera con parecchia sagacia e ottimo gusto estetico.Vere e proprie lacune o momenti deboli nella track list non se ne trovano: già questo dovrebbe valere da indicazione sulla qualità artistica proposta da Paul Weller. In realtà, volendo essere onesti c’è una cosa che proprio non mi va giù: la ghost track! Vero che ad inizio anni ‘90 era di moda, anche se non ho mai ben capito a cosa servisse, però penso sia una delle trovate più sciocche che la discografia mondiale abbia mai messo in pratica.
Al netto di questo, “Paul Weller”, in questo album autointitolato mostra molto di sé stesso, mettendo a nudo sia la componente più cantautorale che un certo divertimento nel convogliare su questa elementi sonori che vanno dal raffinato allo spiritoso senza permettere mai all’attenzione dell’ascoltatore vere e proprie pause ma neanche assillandolo di elementi e stimoli.Detto altrimenti: “Paul Weller” è un lavoro che si ascolta volentieri, con calma. Magari passa una prima volta e ci si accorge appena che c’è, poi però passa una seconda e la sua presenza si sente un po’ di più, poi alla terza lascia già un’impronta e così via, fino all’amore definitivo che non può non sbocciare nei confronti di un album attraente e affascinante.
Paul Weller saprà fare di meglio. Anche di peggio ad essere onesti. Ma difficilmente riuscirà a mettere sé stesso nei brani come nel caso di “Paul Weller”.
Voto: 7,5
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