2025-06-19

Seize the Fate

 


Nemophila – (2022)


Neanche il tempo di pubblicare la mia idea critica di “Revive” che subito si sono fatti vivi gli offendini del purismo siderurgico, quasi una punizione inevitabile. Ovviamente senza esporsi pubblicamente, con messaggi privati sconclusionati e per lo più sgrammaticati.

Che dire? Sentirsi talmente importanti da risvegliare nelle persone tanto livore in qualche modo aumenta la mia autostima.

Ok, ma nel frattempo che mi perdevo in discussioni sterili con personaggi discutibili, mi sono ascoltato il secondo album di inediti del quintetto nipponico. E più o meno ho rafforzato l’idea che mi ero fatto della band ai tempi del debutto. Grande impatto scenico, molto trend Babymetal come esca mediatica, qualche idea degna di nota e parecchio divertimento metallifero con uno sguardo volto verso oriente.

In “Seize the Fate” i riferimenti folk sono infatti decisamente più presenti rispetto al full length precedente, portando maggior personalità ad un lavoro altrimenti piuttosto appiattito su standard facilmente riconoscibili. E poi ci sono un paio di cose che non capisco, ma ci arriviamo con calma.

La track list apre i battenti con la title track: grandi stamburate e subito un pezzo in pieno mood Babymetal. Così, tanto per marcare il territorio e far capire a chi abbia voglia di scommettere sulle Nemophila quale sia l’ambito entro il quale la scommessa può in qualche modo pagare.

Bon, dato al pubblico il suo contentino scenografico, con la traccia successiva inizierà l’album, si spera… Effettivamente “Enten”, per quanto la macina chitarrosa di inizio brano faccia supporre un altro approdo facile in terra death metal, inizia a mostrare un certo carattere, portando melodie decisamente più legate a scelte autoctone e tradizioni levantine. Qua però scatta il primo grande dubbio: gli inserti di tenore che ci azzeccano? Cioè, le atmosfere acquistano in qualche modo un’apparenza vicina a certi Therion, però da un punto di vista squisitamente estetico il dubbio penso sia inevitabile: ce n’era veramente bisogno?

Ok, passiamo oltre: “Zen” e “Back Into the Wild” più o meno tornano a foraggiare gli appetiti più violenti, questa volta con le corde vocali ruvidissime di Mayu messe ben in mostra da un sound aggressivo nel caso “Zen”, più tec(h)nologico e atmosferico nella traccia seguente. Diciamo che fino a qua, grosso modo il secondo lavoro sulla lunga distanza delle Nemophila rappresenta né più né meno quello che ci si aspettava: un secondo tempo dell’esordio con qualche miglioramento sotto il profilo della resa sonora e della coerenza stilistica.

Sì, è vero, il campionario offerto dalla band giapponese è ancora parecchio altalenante e ondivago- per esempio “Rock’n’Roll Is?” buttata così in mezzo alla track list si perde un po’ troppo nel contesto, schiacciata dal peso del sound che la circonda e da cantati che sembrano in inglese ma in realtà non è che si capisca poi tanto- ma rispetto al disco precedente un passo avanti è innegabile.

Ora arriva il secondo dubbio: possibile che il massimo dello slancio creativo del quintetto nipponico si riduca a una specie rap, come nella pur intrigante “Style”, oppure ad una sorta di avrillavigniata come “Waiting for You”? Che poi, tutto sommato sono anche brani divertenti per quanto sciocchini, solo sparigliano le carte in tavola senza spiegare le regole del gioco, permettendo così alla track list di diventare onnidirezionale e proprio per questo piuttosto evanescente.

Alla fine dell’esperienza offerta dalle Nemophila con il loro secondo album di inediti le sensazioni predominanti sono grande carica adrenalinica, parecchia confusione tematica e un indirizzo generale che resta ancora troppo sfuggente per essere credibile. Che il quintetto giapponese ci stia provando a dare una forma alla propria arte penso sia indiscutibile. Per ora il risultato fa fatica ad andare oltre la magra sufficienza, però restiamo fiduciosi. Almeno ancora per un po’…

Voto:6

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