Paul Weller – (1995)
Paul Weller, l’abbiamo già visto nell’album autointitolato, ha una capacità piuttosto peculiare di mettere sé stesso nei suoi dischi, quasi si tratti di un percorso catartico che attraverso il blues, il rock ed il soul porti all’assolvimento dell’anima del cantautore inglese. Voglio dire, come si può definire altrimenti un percorso come quello che dall’elettricità sofisticata e oscura, in qualche modo canonica, di “The Changingman” porta fino alle melanconie gospel di “Wings of Speed”?
Praticamente “Stanely Road” ricalca le orme del primo full length firmato Paul Weller, solo portando all’ennesima potenza ogni singola sensazione, ogni emozione, creando una specie di magniloquente catalogo di recupero degli anni ‘60, oscurità rhythm n’blues e puro romanticismo cantautorale. Il tutto ovviamente rivisto e filtrato attraverso la peculiare penna dello stesso Paul Weller, anima irrequieta ben presente lungo tutta la track list.
Ecco allora, snocciolando un po’ di titoli, che ci si può imbattere nell’energia elegante e magnetica della title track, oppure in momenti più intimi, quasi nostalgici come “Time Passes”- con linee vocali che ricordano un po’ i primi U2- o ancora nella potentissima carica passionale di “You Do Something to Me” senza che per questo il personaggio principale esca mai di scena, anzi ritrovandolo in ogni singolo momento del disco elevato a simbolo di un modo di intendere il rock del tutto personale e incredibilmente affascinante.Per farsi un’idea potrebbe anche bastare sbirciare l’iconica cover creata da Peter Black. Non basta? Allora via con fumi lisergici in salsa Love (“Porcelain Gods”) e una rovente versione di “I Walk on Gilded Splinters”, brano che già di suo fa tremare le ginocchia ma che in questa versione diventa una rappresentazione torrida dell’oscurità, condita da una componente ritmica che riesce contemporaneamente a sedurre e punire, essere caustica ma anche gustosa, temeraria ma determinata: tra tutte le interpretazioni del brano probabilmente la più violenta e bella.
Poi, certo, nel campionario offerto da Paul Weller in questo suo terzo album di inediti c’è molto altro ma provare a raccontare l’incantevole e subdolo mondo dell’ex Style Council potrebbe essere un esercizio inutilmente prolisso. Meglio allora mettere in risalto la corposità delle 12 perle che formano la track list, il percorso che creano in una specie di disorganizzazione coerente che stupisce e ammalia, contraendo e dilatando lo spirito di chi la guida di pari passo con quello di chi la esperisce, in una specie di respiro sincrono al limite dello stupefacente.
“Stanley Road”, da questo punto di vista, più che un’esperienza è una specie di terapia in cui la passione, le frustrazioni, la magia e l’arte di Paul Weller in parte confluiscono nei sensi dell’ascoltatore portandolo ad una condivisione intensa e verace. E la cosa più curiosa di tutto questo è che quando “Stanley Road” esce, tutti- no, beh, non tutti… però tanti- sono così presi da celebrare la morte del grunge e farsi stordire da tutto quello che il pop (rap)presenta da non accorgersi della presenza del capolavoro di Paul Weller.Ci sarà modo di ricredersi entro breve e dare al cantautore britannico il giusto posto nell’Olimpo del rock mondiale. Però il rischio di far scivolare via un gioiello come “Stanely Road” perché troppo occupati a guardare il dito per accorgersi della Luna… siamo al limite dell’imperdonabile!
Voto:9
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